29 ottobre 2019

Ode al color verde – Pablo Neruda

Claude Monet - Lo stagno delle ninfee
Ode al color verde – Pablo Neruda

Quando la terra
fu
pelata e silenziosa,
silenzio e cicatrici,
estensioni
di lava secca
e pietra congelata,
apparve
il verde,
il colore verde,
trifoglio,
acacia,
fiume
di acqua verde.

Si sparpagliò il cristallo
insperato
e crebbero
e si moltiplicarono
i numerosi
verdi,
verdi di pascoli e occhi,
verdi di amore marino,
verdi
di campanile,
verdi
sottili, per
la rete, per le alghe, per il cielo,
per la selva
il verde tremante,
per le uve
un acino verde.

Vestito
della terra,
popolazione del fogliame,
non soltanto
uno
ma
la moltiplicazione
dell’ampio verde,
scurito come
notte verde,
chiaro e acuto
come
violino verde,
spesso nello spessore,
metallico, solforico
nella miniera
di rame, velenoso
sulle lance
ossidate,
umido nell’abbraccio
della palude,
virtù della bellezza.
Finestra della luna in movimento,
violacei, morti verdi
che arrossano
alla luce dell’autunno
nei pugnali dell’eucalipto, freddo
come pelle di pesce pescato,
infermità verdi,
neon saturniani
che ti affliggono
con opprimente luce,
verde volante
della nuziale lucciola,
e tenero
verde
soave
della lattuga quando
riceve sole in gocce
dai casti limoni
spremuti
da una mano verde.

Il verde
che non ebbi,
non ho
né avrei,
il fulgore sottomarino e sotterraneo,
la luce
dello smeraldo,
aquila verde tra le pietre, occhio
dell’abisso, farfalla gelata,
stella che non poté
incontrare il cielo
e seppellì
la sua onda verde
nella
più profonda
camera terrestre,
e lì
come rosario
dell’inferno,
fuoco del mare o cuore di tigre,
splendida dormisti, pietra verde,
unghia delle montagne,
fiume fatuo,
statua ostile, indurito verde.


1956

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