2 maggio 2020

Rubens il partigiano e altri racconti – Enzo Montano

Rubens il partigiano e altri racconti – Enzo Montano
dal racconto “Il mostro”

Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova
e crescente, quanto più spesso e più a lungo la rifl essione si occupa di esse:
il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me.
(I. Kant)

Il dubbio è uno dei nomi dell’intelligenza.
(J.L. Borges)

Mercoledì 25 gennaio
Partenza
La Gare de l’Est era affollata dagli eleganti viaggiatori dell’Orient Express raggruppati in piccoli capannelli. Uomini e donne parlottavano in attesa della partenza del treno, tra un intenso via vai di carrelli e facchini intenti a trasferire cataste di bagagli sull’apposito vagone. C’erano file interminabili di bauli, valige e borse Luis Vuitton di ogni dimensione e forma, secondi per foggia solo ai vistosi cappellini delle signore. Vi erano personaggi di diversa natura, alcuni dei quali agghindati con costumi singolari, lontanissimi parenti dei canoni della sobrietà. Uno di questi, dalla lunga barba, forse un sultano, aveva al seguito una trentina di servitori, una decina di donne bellissime dal fascino misterioso, dalla pelle ambrata e dagli occhi paragonabili a perle nere, qualche piccolo animale di compagnia e un’interminabile fila di carrelli stracolmi di bagagli. A dispetto dell’età, apparentemente avanzata, dell’uomo, le bellissime ragazze sembravano giovanissime.
Non poteva di certo passare inosservato un personaggio del genere: indossava uno sgargiante turbante arabescato color oro e azzurro, una lunghissima veste color porpora, vari ammennicoli al collo e ai polsi, e una strana scimmietta su di una spalla. Lo stravagante personaggio si aggirava nei pressi degli ultimi vagoni probabilmente in cerca del personale addetto alla custodia degli animali viaggianti.
Tutti sembravano uscire dai quadri orientaleggianti di Jean-Leon Gerome.
La presenza di categorie di persone più disparate era dovuta al fatto che il treno di lusso fosse una sorta di ponte verso l’Oriente, un lunghissimo ponte tra Londra e Costantinopoli, attraversato dalla variegata umanità che passava da un continente all’altro, da un mondo a un altro.
L’attenzione di Claude tuttavia era rivolta esclusivamente alla bella donna dall’elegante cappotto nero. Indossava un cappellino in tinta che, per quanto vistoso, sicuramente era il più sobrio del repertorio esposto dalle passeggere; aveva delle ampie tese ed era guarnito da un nastro color magenta. Fuoriusciva poi dal vezzoso cappello una folta cascata di capelli biondi su cui giocavano le luci della stazione.
La ragazza era appena discosta dai gruppi di passeggeri, concentrata nella lettura di un blocco di fogli ma che, di tanto in tanto, alzava lo sguardo per guardarsi intorno nel tentativo di capire quali passeggeri avrebbero preso posto nella sua carrozza. Le sembro di aver individuato un paio di coppie di anziani, tre agenti di commercio, vari diplomatici e dignitari. Quel bel giovane che la osservava insistentemente non sembrava destinato a prendere posto nel suo scompartimento.
[…]

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