11 maggio 2020

Se una notte d’inverno un viaggiatore - Italo Calvino

dipinto di Paul Gustave Fischer
Se una notte d’inverno un viaggiatore - Italo Calvino

Già un paio di volte ho attraversato il caffè e mi sono affacciato alla porta che dà sulla piazza invisibile e ogni volta il muro di buio mi ha ricacciato indietro in questa specie di limbo illuminato sospeso tra le due oscurità del fascio dei binari e della città nebbiosa. Uscire per andare dove? La città là fuori non ha ancora un nome, non sappiamo se resterà fuori del romanzo o se lo conterrà tutto nel suo nero d'inchiostro. So solo che questo primo capitolo tarda a staccarsi dalla stazione e dal bar: non è prudente che mi allontani di qui dove potrebbero ancora venirmi a cercare, né che mi faccia vedere da altre persone con questa valigia ingombrante. Perciò continuo a ingozzare di gettoni il telefono pubblico che me li risputa ogni volta: molti gettoni, come per una chiamata a lunga distanza: chissà dove si trovano, ora, quelli da cui devo ricevere istruzioni, diciamo pure prendere ordini, è chiaro che dipendo da altri, non ho l'aria d'uno che viaggia per una sua faccenda privata o che conduce degli affari in proprio: mi si direbbe piuttosto un esecutore, una pedina in una
partita molto complicata, una piccola rotella d'un grosso ingranaggio, tanto piccola che non dovrebbe neppure vedersi: difatti era stabilito che passassi di qui senza lasciare tracce: e
invece ogni minuto che passo qui lascio tracce: lascio tracce se non parlo con nessuno in quanto mi qualifico come uno che non vuole aprir bocca: lascio tracce se parlo in quanto ogni parola detta è una parola che resta e può tornare a saltar fuori in seguito, con le virgolette o senza le virgolette. Forse per questo l'autore accumula supposizioni su supposizioni in lunghi paragrafi senza dialoghi, uno spessore di piombo fitto e opaco in cui io possa passare inosservato, sparire.

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