Ciò che più eccitava la mamma erano le decadenti storie di
vita dei ricchi, in particolare le tresche che avevano luogo nelle suite n. 28
e n. 29, le due più esclusive e lussuose del King David, all’epoca l’hotel più
rinomato non solo a Gerusalemme, ma nell’intera Palestina, in Egitto, Siria e
Libano. “Se vuoi sapere cosa succede in Palestina… be’, se è per questo nell’intera regione,
devi tenere un occhio e due orecchie su quel che succede dentro e attorno alle
suite 28 e 29!” diceva spesso Wasim alla mamma, rotolandosi dalle risate.
In quelle due suite alloggiavano quasi tutte le celebrità
mondiali in visita in Palestina. Inutile dire che la lista era piuttosto lunga
e includeva re e regine, personaggi politici di primo piano, dignitari, uomini
d’affari, milionari, nonché generali dell’esercito britannico e personalità
quali re Alfonso di Spagna, il re dell’Afghanistan, il re d’Albania, re Giorgio
II di Grecia, re ‘Abd Allāh I di Giordania e l’imperatore Hailé Selassié.
Particolarmente interessanti per la mamma erano i pettegolezzi
che riguardavano le donne famose d’Egitto, Siria e Libano, per esempio la
regina Nāzlī Ṣabri d’Egitto, moglie di re Fu’ād I e madre di re Fārūq I. Nāzlī
veniva spesso a trascorrere un po’ di tempo con una sua cara amica, moglie di
Mahmoud Fawzi, all’epoca console generale d’Egitto. Wasim e la mamma
apprezzavano in special modo i gustosi pettegolezzi che avevano per oggetto “la
Spendacciona”, l’elegante madame Zaynab al-Wakīl, moglie del primo ministro
egiziano Muṣṭafā al-Naḥḥās (in carica nel 1928, nel 1930, tra il 1936 e il
1937, dal 1942 al 1944, e infine tra il 1950 e il 1952). Madame Zaynab al-Wakīl,
che occupava di frequente le suite 28 e 29, era spesso accompagnata da un vasto
seguito di addetti alla sicurezza, amici e parenti stretti. Era nota per la sua
passione per gli abiti, i gioielli e il visone.
Le storie d’amore di cui era protagonista la grande cantante
egiziana Asmahan catturavano l’immaginazione non soltanto della mamma, ma di
tutta la regione. Asmahan e sua madre, che spesso venivano in visita a
Gerusalemme, erano anch’esse ospitate nelle due peccaminose suite dal notabile
Fakhri al-Nashashibi, nipote di Raghib al-Nashashibi, sindaco
di Gerusalemme dal 1920 al 1934. Mentre girava voce che Asmahan, accusata di essere
una spia britannica, fosse l’amante segreta (non poi così segreta) di Fakhri al-Nashashibi, si
diceva anche che, oltre ad Asmahan, Fakhri avesse un’amante ebrea e una moglie
araba. La mamma era affascinata dalle storie che riguardavano donne ricche,
forti e influenti: erano loro le donne dei suoi sogni, le donne per le quali
nutriva ammirazione. Venivano da vere
città come Damasco, Il Cairo e Beirut.
Se solo non avesse sposato l’uomo sbagliato e non fosse finita a consumare la
sua esistenza in posti insignificanti come al-Salt e Amman in Giordania, e
adesso nella provinciale Gerusalemme! Per quanto la riguardava, la cosa
migliore della Città Santa era che ci passavano tutte quelle donne famose. “Il
glamour delle egiziane, delle siriane e delle libanesi non è paragonabile alla semplicità
delle donne di Gerusalemme,” si lamentava spesso con il cugino damasceno. Per
di più, la mamma aveva il vantaggio di poter verificare alcune delle notizie
riferitele da Wasim con quel dongiovanni del suo vicino, Nasir al-Din al-Nashashibi.
Costui, che abitava a due passi da casa nostra, era un uomo pieno di risorse,
un giornalista e uno scrittore noto per le sue doti di “pettegolo puro”, nonché
un giovanotto che amava la vita. Oltre ad aggiungere sale e pepe a molti dei
racconti di Wasim, Nasir al-Din intratteneva la mamma con altre eccitanti
avventure che avevano come protagonisti i “rispettabili” giovanotti del suo
quartiere, Sheikh Jarrah. “Tra gli arabi ricchi, celibi o sposati che siano, va
di moda avere un’amante ebrea a Tel Aviv.” Non esclusi gli uomini di famiglie
in vista come gli Husseini, i Khalidi e gli stessi Nashashibi. Costoro
affittavano un appartamento per le loro amanti ebree e avevano l’abitudine di
trascorrere notti di piacere lontano dalla conformista e noiosa vita di
famiglia. L’edificio Abu Khadra, sulla strada tra Giaffa e Tel Aviv, era noto
per essere il luogo dove le coppie arabo-ebree facevano il nido. La mamma non
credeva mai a tutto quel che le veniva raccontato, “ma chi se ne infischia dell’accuratezza!”.
Era comprensibile che le eterne storie d’amore di Wasim e gli aromi con cui
Nasir al-Din insaporiva quelle avventure la sollevassero dall’oppressione domestica
e la distraessero dalla sua ordinaria, monotona vita quotidiana nella lugubre Gerusalemme.
La storia a puntate di Wasim era infinitamente più interessante e spassosa dei
cinquecentoquattordici episodi in bianco e nero de I peccati di Peyton Place, che la mamma avrebbe visto in televisione decenni dopo. Come
le sarebbe capitato con la soap opera made in Usa, la mamma aspettava con
tossica bramosia l’episodio settimanale della serie Palestina non-kāshēr.
(…)
Traduzione
di Maria Nadotti
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