6 agosto 2018

da “Il birraio di Preston” – Andrea Camilleri

da “Il birraio di Preston” – Andrea Camilleri

Egregie signore e diciamolo pure
«Egregie signore e, diciamolo pure, egregi signori. A mia moglie Concetta è stato proposto che io tenessi una conferenza su Luigi Ricci, il compositore dell’opera Il birraio di Preston, che fra qualche giorno verrà rappresentata nel nuovo teatro di Vigàta, orgoglio e vanto di quella ridente cittadina. E io la devo tenere, questa conferenza, volere o volare, perché a mia moglie non posso negare niente di niente, mi credano. Perché, vi domanderete?».
Fece una specie di singhiozzo, cavò un fazzoletto a quadrati rossi, tistiò avanti e narrè diverse volte come a domandare compassione ai convenuti, si susciò il naso facendo una potente rumorata, riposò il fazzoletto nella sacchetta dei pantaloni del tait, ripigliò a parlare con un sorriso amaro.
«Mia madre me l’aveva detto, me l’aveva pistiato e ripistiato: mi vuoi spiegare perché ti sei intestato a maritartela? Concetta ha trent’anni meno di tia, dopo dieci anni di matrimonio tu avrai toccato la sessantina mentre lei si sarà tenuta a trenta. Per non fartela scappare e per tenere la pace in famiglia, dovrai addiventare pejo di un servo, pronto a calare la schina a ogni firticchio che le passa per la testa. Quanta ragione aveva la santarma! Oro colato erano le parole sue! Tanto per fare un esempio: io non sapevo niente di questo Luigi Ricci, me ne sfottevo altamente, scusate, di lui e delle musiche sue. Del resto, poche sono oramai le cose che m’allettano. E invece, no: tu questa conferenza la devi fare, mi comanda lei, altrimenti… Altrimenti, lo so io che significa altrimenti! Basta, lasciamo perdere. E chi glielo ha proposto alla mia signora? Tutti sapete che Concetta è amica stritta della signora di Sua Eccellenza il prefetto Bortuzzi. Spiegato il busillisi? Chiaro? Ecco la scascione per la quale sono qua, Come un trunzo, davanti a voi».
Seduto in prima fila allato alla seggia dorata del prefetto, fortunatamente vacante dell’augusto pondo per sopravvenuti quanto inderogabili impegni di governo, don Memè Ferraguto da qualche minuto, da quando quello aveva principiato a parlare, si era sentito perso come mai nella vita, e sì che occasioni di sentirsi perso non gliene erano fagliate. La bella pensata di dire al prefetto che la di lui signora Luigia intesa Giagia, parlasse alla signora Concetta, maritata al preside Carnazza del ginnasio di Fela, l’aveva avuta lui. Amici, ai quali aveva domandato consiglio, gli avevano indicato il professor Carnazza come finissimo intenditore di musica, tacendogli però, i cornuti, che il preside era magari, e forse più, finissimo intenditore di vini. E dire che persino Sua Eccellenza l’aveva messo in
guardia.
«Possiamo star sihuri con questo ‘arnazza?».
«Certo, Eccellenza. Perché?».
«Perché la mi’ honsorte m’ha detto che ha saputo dalla signora ‘arnazza, in honfidenza, che il professore spesso e volentieri s’attacca».
«Unni s’attacca, Eccellenza?».
«E dove ‘azzo vuole che s’attacchi, Ferraguto? Al fiasco s’attacca, e quando lo fa, straparla».
«Voscenza se ne stia sicuro. Gli starò impiccicato come l’ùmmira sò. Manco l’acqua gli farò vìviri».
(...)

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