Lawrence Alma Tadema - Non mi chiedere altro
Kenneth Rexroth – Quando noi con Saffo
« … vicino
all’acqua gelida
il vento
suona tra i rami
del melo, e
dalle foglie
tremanti
il sonno si
versa… »
Siamo qui,
in un frutteto incolto,
pieno d’api
d’un podere in rovina
del New
England, distesi
con l’estate
fra i capelli e l’odore
dell’estate
sui nostri corpi uniti,
l’estate
nelle bocche, l’estate
nei
frammenti luminosi di parole
di questa
greca morta.
Smetti di
leggere. Piegati.
Dammi la
bocca. Eguaglia,
la tua
grazia, la bellezza del sonno.
Mi vieni
incontro come un’onda
che si muove
nel sonno. Il tuo corpo
s’espande
nel mio
cervello
come
un’estate piena di uccelli;
non come
corpo o cosa a sé stante
ma come
nembo che incombe
su ogni
altra cosa al mondo.
Appoggiati a
me. Sei bella,
bella come
la piega
delle tue
mani nel sonno.
Siamo
invecchiati, nel pomeriggio.
Qui, nel
nostro frutteto adesso abbiamo
l’età di
Saffo, ovunque sopra mari
lontani la
sua polvere sfavilli
e sparsa
lampeggi sulla cresta
delle onde o
macchi la conchiglia
del murice.
Intorno a noi
la vecchia
fattoria sprofonda
nel miele
del caos estivo.
In quelle
isole lontane i templi
sono stati
abbandonati e il marmo
è color
miele
selvatico.
Non resta
nulla dei giardini
che un tempo
li circondavano, delle
grasse zolle
segnate dagli zoccoli.
Solo erba di
mare resiste
sulla pietra
sgretolata,
sui gradini
scheggiati,
solo il blu
e il giallo
del mare, e
in lontananza
gli scogli
rossi oltre la baia.
Piegati
indietro.
Ora, la sua
memoria è sulle nostre
labbra.
Attraverso il caos estivo i baci
ci cadono
sul petto, sulle cosce.
Colossali
cupole d’oro,
cumuli di
nubi si levano
sull’ondeggiante,
sibilante foresta.
L’aria preme
la terra.
Il tuono
scoppia sui monti.
Lontano, sugli
Adirondacks,
un lampo
tremola, quasi invisibile
nel cielo
vivido, violetto
contro il
grigio carico
dell’ombra
di nuvole grasse.
La fresca
chioma virile
dei
temporali spazzola
il gonfio
orizzonte. Togliti
scarpe e
calze. Ti bacerò
le dolci
gambe e i piedi
mezzo
sepolti nell’intrigo
di
maleodoranti fiori
estivi.
Spogliati.
Voglio schiacciare
la tua carne
d’estivo miele
contro il
suolo caldo, e sull’erba
pesta,
pungente di mezza
estate.
Lascia che il tuo corpo
scenda come
miele tra le calde
ruvide dita
dell’estate.
Fermati.
Aspetta. Basta
poco.
Baciami con
la bocca umida e aspra,
la tua bocca
che ha lo stesso sapore
della mia
carne. Leggi ancora
per me la
musica sinuosa
di quella
lingua che comprende tutte
le altre
lingue ed è un’opera d’arte.
Leggimi
ancora quelle singole,
toccanti
parole salvate
da filologi
antichi per spiegare
coniugazioni
e declinazioni
di morti
ancora più antichi.
Piegati
nell’incavo del mio corpo.
Premi le tue
spalle contuse
contro i
madidi peli del mio corpo.
Baciami
ancora. Pensa, dolce linguista,
che al mondo
l’ablativo è impossibile.
Nessun altro
qui ci aiuterà.
Dobbiamo
aiutarci reciprocamente.
Il vento
s’allontana lentamente
dalla
tempesta; vira sulle creste
boscose;
fischia nelle valli.
Qui siamo
isolati, l’un con l’altra;
e c’è
isolamento al di là
di questo
frutteto, l’isolamento
del mondo
intero. Non lasciare
che
s’intrometta mai niente
nella
solitudine di questo giorno,
di queste
parole, isolate da lingue
morte, di
questo frutteto, nascosto
ai fatti e
alla storia, di queste ombre
in armonia
con la luce estiva, tutt’insieme
isolati
oltre la reciprocità del mondo.
Non dire
altro. Non parlare.
E non
rompere il silenzio
finché l’uno
dell’altra non saremo
stanchi.
Facciamo correre le dita
come lame
d’acciaio sui contorni
dei nostri
corpi dorati. Non parlare.
Il mio viso
affonda nell’estate
invischiata
dei tuoi capelli.
Il ronzio
delle api è cessato.
La quiete
cade come una nube.
Taci. Lascia
andare il tuo corpo
nel silenzio
pieno di stupore
dell’estate
compiuta –
indietro,
indietro, all’infinito –
le nostre
labbra, deboli,
esangui per
l’immobilità.
Guarda. Il
sole è tramontato.
Ora ci sono
lunghe luci ambrate
sui tronchi
spaccati dei vecchi meli.
I nostri
corpi s’avvicinano
come nel
sonno; esausti
e sazi
insieme, come l’estate
va verso
l’autunno e noi,
con Saffo,
incontro alla morte.
Le mie
palpebre sprofondano nel sonno
nel caldo
autunno dei tuoi capelli sciolti.
Il tuo corpo
tra le mie braccia
si muove sul
bordo del sonno;
e è come se
tenessi
tra le
braccia il serale
cielo estivo
pieno d’uccelli.
Traduzione di Francesco Dalessandro
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