Una foto di scena del film " Dove vai in vacanza " con Alberto Sordi e Anna Longhi
da La cucina italiana – Massimo Montanari
L’esistenza di isole e spiagge, scuole salernitane della dieta moderna, ha successo negli Stati Uniti ove il Mediterraneo appare una macchia azzurra e probabilmente antica, e di riflesso in Europa e in Italia, a partire dalla fine degli anni Settanta. In questo mare interno e sempre più inquinato che vede svilupparsi dopo il 1960 un’industria turistica di massa, che è caratterizzato da transumanze stagionali dai paesi ricchi, da turisti curiosi di feste e
cibi della festa, sole, spaghetti, pizza e verdure finiscono per partecipare allo stesso mito
salutistico. L’Italia si trova al centro di tale interesse per la sua gastronomia diversificata, con industrie alimentari che il mito mediterraneo avevano da decenni sfruttato. La repubblica non lotta più per allargare confini troppo stretti, ma lancia prodotti e messaggi in ogni direzione, verso mercati lontani, replicando un’immagine gastronomica grazie a quei terminali che sono le pizzerie all’estero, i negozi col fiasco e la mortadella in vetrina, e i turisti di ogni paese. Come negli anni Trenta, al nuovo Mediterraneo collaborano la Provenza e la Costa Azzurra, la Costa Brava e l’Andalusia, con la loro catena ininterrotta e straziante di villaggi turistici. Ma, a differenza della Francia in cui Parigi ha nella cucina provenzale una rivale, l’Italia, dato il suo ordinamento gastronomico regionale, profitta del decentramento, comincia a praticare al Nord il modello del Sud con prodotti del Nord, e vende ovunque, grazie agli emigrati meridionali, la pizza col pomodoro.
A incrinarsi, con il crescente benessere, sono gli orientamenti gustativi tradizionali, il primato della carne nella regione parigina e il culto del maiale emiliano, le paste fresche ripiene e condite con burro e panna. Il cuoco che guarda a mezzogiorno sostituisce le proteine animali con quelle vegetali, impone il fresco e l’olio, serve in tavola un cesto di frutta. Nei piatti di maggiore successo, la pizza e gli spaghetti, varietà, profumi e colori ottenuti improvvisando rappresentano parte importante del successo. Una delle caratteristiche di questa cucina è che, per quanto circoscrivibile in uno spazio geografico, può essere rifatta ovunque con prodotti originali o succedanei. Il Mediterraneo è una metafora espressa con sinonimi. La tavola italiana in crisi di identità domestica, sempre più dipendente dai semilavorati industriali, rinasce da queste ceneri, senza rinunciare al suo policentrismo, alle sue regioni, ai suoi piatti locali, alle sue ataviche gelosie, dimostrando in forma paradossale che un paese con troppe identità, frammentario, appare a distanza un faro continuo e omogeneo di cultura gastronomica.
L’esistenza di isole e spiagge, scuole salernitane della dieta moderna, ha successo negli Stati Uniti ove il Mediterraneo appare una macchia azzurra e probabilmente antica, e di riflesso in Europa e in Italia, a partire dalla fine degli anni Settanta. In questo mare interno e sempre più inquinato che vede svilupparsi dopo il 1960 un’industria turistica di massa, che è caratterizzato da transumanze stagionali dai paesi ricchi, da turisti curiosi di feste e
cibi della festa, sole, spaghetti, pizza e verdure finiscono per partecipare allo stesso mito
salutistico. L’Italia si trova al centro di tale interesse per la sua gastronomia diversificata, con industrie alimentari che il mito mediterraneo avevano da decenni sfruttato. La repubblica non lotta più per allargare confini troppo stretti, ma lancia prodotti e messaggi in ogni direzione, verso mercati lontani, replicando un’immagine gastronomica grazie a quei terminali che sono le pizzerie all’estero, i negozi col fiasco e la mortadella in vetrina, e i turisti di ogni paese. Come negli anni Trenta, al nuovo Mediterraneo collaborano la Provenza e la Costa Azzurra, la Costa Brava e l’Andalusia, con la loro catena ininterrotta e straziante di villaggi turistici. Ma, a differenza della Francia in cui Parigi ha nella cucina provenzale una rivale, l’Italia, dato il suo ordinamento gastronomico regionale, profitta del decentramento, comincia a praticare al Nord il modello del Sud con prodotti del Nord, e vende ovunque, grazie agli emigrati meridionali, la pizza col pomodoro.
A incrinarsi, con il crescente benessere, sono gli orientamenti gustativi tradizionali, il primato della carne nella regione parigina e il culto del maiale emiliano, le paste fresche ripiene e condite con burro e panna. Il cuoco che guarda a mezzogiorno sostituisce le proteine animali con quelle vegetali, impone il fresco e l’olio, serve in tavola un cesto di frutta. Nei piatti di maggiore successo, la pizza e gli spaghetti, varietà, profumi e colori ottenuti improvvisando rappresentano parte importante del successo. Una delle caratteristiche di questa cucina è che, per quanto circoscrivibile in uno spazio geografico, può essere rifatta ovunque con prodotti originali o succedanei. Il Mediterraneo è una metafora espressa con sinonimi. La tavola italiana in crisi di identità domestica, sempre più dipendente dai semilavorati industriali, rinasce da queste ceneri, senza rinunciare al suo policentrismo, alle sue regioni, ai suoi piatti locali, alle sue ataviche gelosie, dimostrando in forma paradossale che un paese con troppe identità, frammentario, appare a distanza un faro continuo e omogeneo di cultura gastronomica.
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