12 agosto 2018

da “Elogio della matrigna” – Mario Vargas Llosa

da “Elogio della matrigna” – Mario Vargas Llosa

Il giorno in cui compì quarantanni, donna Lucrecia
trovò sul suo guanciale una missiva dal tratto infantile,
ben scritta e molto affettuosa:

«Buon compleanno, matrigna!
Non ho soldi per regalarti qualcosa ma studierò
molto, otterrò il primo posto e questo sarà il mio regalo.
Sei la più brava e la più bella e io ogni notte ti sogno.
Buon compleanno ancora!
Alfonso».

Era mezzanotte passata e don Rigoberto si trovava nella sua stanza da bagno tutto preso dalle abluzioni di prima di coricarsi, che erano complicate e lente. (Dopo la pittura erotica, la nettezza del corpo era il suo passatempo preferito; quella spirituale non lo preoccupava altrettanto.) Emozionata dalla lettera del ragazzino, donna Lucrecia sentì l’impulso irresistibile di recarsi a trovarlo, di ringraziarlo. Quelle righe significavano la sua accettazione nella famiglia, definitivamente. Sarebbe stato sveglio? Che importava! Altrimenti, l’avrebbe baciato sulla fronte, attenta a non svegliarlo.
Mentre scendeva le scale, coperte da una passatoia, della dimora al buio, diretta verso l’alcova di Alfonso, pensava ”L’ho dalla mia parte, ormai mi vuole bene”.
E i suoi vecchi timori sul ragazzino cominciarono a svanire come la lieve nebbia corrosa dal sole dell’estate di Lima. Aveva scordato di buttarsi addosso la vestaglia, era nuda sotto la leggera camicia da notte di seta nera e le sue forme bianche, uberrime, ancora sode, sembravano fluttuare nella penombra trafitta dai riflessi della via. Aveva i lunghi capelli sciolti e non si era ancora tolta gli orecchini, gli anelli e le collane della festa.
Nella camera del ragazzino - certo, Foncho leggeva sempre fino a molto tardi! - c’era luce. Donna Lucrecia bussò con le nocche ed entrò: «Alfonsito!». Nel cono giallo che irradiava la lampada del comodino, dietro un libro di Alexandre Dumas, spuntò, spaventato, un visetto da Gesù Bambino. I riccioli d’oro scarruffati, le labbra socchiuse dalla sorpresa che
mostravano la doppia fila di bianchissimi denti, i grandi occhi celesti spalancati nel tentativo di staccarla dall’ombra della soglia. Donna Lucrecia rimaneva immobile, osservandolo con tenerezza. Che bel ragazzino! Un angioletto da presepe, uno di quei paggi delle incisioni galanti che suo marito nascondeva a doppia mandata.
«Sei tu, matrigna?»
«Che bella letterina mi hai scritto, Foncho. E il miglior regalo di compleanno che mi abbiano mai fatto, te lo giuro.»
(…)
Traduzione di Angelo Morino
Rizzoli Libri S.p.A., Milano 1990

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