dipinto di Kenton Nelson
da “Favole al
Tramonto” – Andrea Camilleri
Il cappello e la
coppola
Era una notte buia,
ma non tempestosa. Nello scuro fitto di quella strada che avrebbe dovuto essere
illuminata da un lampione che i picciottazzi avevano pigliato a petrate
astutandolo, il cappello di gran marca, tanticchia scantato, camminava di
prescia per arrivare dove doveva arrivare. Girato l’angolo, capì che il temuto
malo incontro gli stava proprio capitando: davanti a lui, ferma come se lo
aspettasse, c’era una coppola. E non era una coppola quatrigliè da turista
inglisi o verdoligna d’uso catalano: nossignori, questa era una coppola
siciliana, di panno nìvuro ed era macari messa storta. Con un grido
soffocato, il
cappello si tirò un passo narrè.
“Scanto ti fici?” -
s’informò, a un tempo cortese e ironica, la coppola.
“Beh, sì”.
“E pirchì?”.
“Beh, si sa cosa
rappresenta la coppola, no? E a vederti così all’improvviso davanti a me, nello
scuro, in una strada solitaria, ho pensato subito a una mala coppola, una
coppola che ha intenzioni tinte.
Ci indovinai?”.
“Ci indovinasti” -
rispose la coppola cavando un revorbaro dalla sacchetta. E poi spiò: “Prima levami
una curiosità. Su quale testa stai?”.
“Sulla testa del più
grande banchiere del mondo” - rispose il cappello.
La coppola rimise in
sacchetta l’arma, si fece di lato, si scoppolò rispettasamente.
“Mi scusi, capo. Non
l’avevo riconosciuta” - fece inchinandosi.
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