5 agosto 2018

da “La pergamena della seduzione” - Gioconda Belli


da “La pergamena della seduzione” - Gioconda Belli
traduzione di Margherita D’Amico

Manuel me l’aveva promesso: se avessi accettato certe sue condizioni, mi avrebbe raccontato la vita di Giovanna di Castiglia e il suo folle amore per il marito Filippo il Bello. Lui era professore all’Università Complutense, specialista in Storia del Rinascimento spagnolo; io frequentavo ancora la scuola superiore. Avevo diciassette anni, e da quando ne avevo tredici ero interna in un collegio di monache a Madrid, lontana dal mio piccolo paese dell’America Latina. I miei genitori erano morti in un incidente aereo.
La voce di Manuel lasciava sempre dentro di me una scia densa, un’onda lunga in cui fluttuavano volti, mobili, tendaggi, perline di vetro e rituali del tempo perduto.
«Quali condizioni?» domandai.
«Voglio che tu costruisca con l’immaginazione quello che ti descriverò, che tu veda te stessa in quegli scenari, che ti senta per alcune ore Giovanna. All’inizio non ti sarà facile, ma un mondo fatto di parole può essere reale quanto la luce che ti illumina le mani in questo momento. È scientificamente provato che il cervello ha la medesima reazione sia che vediamo una candela accesa con gli occhi aperti sia che la immaginiamo con gli occhi chiusi. Possiamo vedere con la mente e non soltanto con i sensi. Nel mondo che evocherò, se accetti la mia proposta, tu impersonerai Giovanna. Io conosco i fatti, le date, posso situarti in quel tempo, negli odori, nei colori e nell’ambiente di allora. Ma poiché sono un uomo e, ancor peggio, uno storico razionale e meticoloso, nella mia narrazione mancherà - mi manca sempre - la voce interiore. Non posso sentire, per quanto ci provi, ciò che avrà sentito Giovanna a sedici anni mentre andava in sposa a Filippo il Bello, sulla nave ammiraglia di un’armata composta da centotrentadue imbarcazioni.»
«Hai detto che non lo conosceva.»
«Non lo aveva mai visto. Quando, accompagnata da cinquemila uomini e duemila dame di corte, sbarcò nelle Fiandre, il suo promesso sposo non era al porto ad attenderla. Mi è difficile immaginare che cosa avrà provato, men che meno posso avvicinarmi ai suoi pensieri intimi nel momento in cui infine incontrò Filippo nel monastero di Lierre e si innamorarono furiosamente, totalmente e immediatamente tanto che chiesero di sposarsi quella sera stessa per consumare un matrimonio concordato in base a ragioni di Stato.»
Quante volte Manuel aveva citato quell’incontro? Forse gli piaceva vedermi arrossire.
Sorrisi per nascondere il mio disagio. Anche se avevo trascorso gli ultimi anni in convento, circondata da monache, io quella scena la potevo sentire, per me non era difficile immaginare ciò che aveva provato Giovanna.
«Vedo che mi capisci.» Manuel sorrise. «Non riesco a staccarmi dalla figura di quella giovane, una delle principesse più colte del Rinascimento che, dopo aver ereditato il trono di Spagna, a ventinove anni fu confinata in un vecchio palazzo in cui morì quarantasei anni dopo. Era stata educata da Beatrice Galindo, “la Latina”, una delle filosofe più brillanti del Rinascimento.»
«È triste pensare che Giovanna sia impazzita di gelosia.»
«Questo è ciò che dissero, ed è proprio uno dei punti oscuri che potresti aiutarmi a svelare.»
«Non vedo come.»
«Pensando come lei, mettendoti al suo posto. Voglio che ti lasci inondare la mente da questa storia. Hai più o meno la sua età, e anche tu hai dovuto lasciare il tuo Paese e sei rimasta sola molto giovane.»
Un giorno di settembre del 1963 i miei nonni mi avevano lasciata in un collegio di monache a Madrid. Nonostante l’edificio di pietra fosse severo e tetro - l’alta facciata senza finestre, l’imponente portone con l’antico scudo sull’architrave - la sua sobrietà si accordò perfettamente con il mio stato d’animo di quel momento. Attraversai l’atrio ricoperto di azulejos sentendo, nel fare ingresso nella sala di ricevimento, che mi lasciavo alle spalle i rumori di un mondo che non aveva risentito minimamente della sciagura che di colpo aveva posto fine alla mia infanzia.
(…)

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