18 maggio 2017

La veglia – Wislawa Szymborska

Rubens - La festa di Erode
La veglia – Wislawa Szymborska

La veglia non svanisce
come svaniscono i sogni.
Nessun brusio, nessun campanello
la scaccia,
nessun grido né fracasso
può strapparci da essa.

Torbide e ambigue
sono le immagini nei sogni,
il che può spiegarsi
in molti modi.
Veglia significa veglia
ed è un enigma maggiore.

Per i sogni ci sono chiavi.
La veglia si apre da sola
e non si lascia sbarrare.
Da essa si spargono
diplomi e stelle,
cadono giù farfalle
e anime di ferri vecchi da stiro,
berretti senza testa
e cocci di nuvole.
Ne vien fuori un rebus
irrisolvibile.

Senza di noi non ci sarebbero sogni.
Quello senza cui non ci sarebbe veglia
è ancora sconosciuto,
ma il prodotto della sua insonnia
si comunica a chiunque
si risvegli.

Non i sogni sono folli,
folle è la veglia,
non fosse che per l’ostinazione
con cui si aggrappa
al corso degli eventi.

Nei sogni vive ancora
chi ci è morto da poco,
vi gode perfino di buona salute
e di ritrovata giovinezza.
La veglia depone davanti a noi
il suo corpo senza vita.
La veglia non arretra di un passo.

La fugacità dei sogni fa sì
che la memoria se li scrolli di dosso facilmente.
La veglia non deve temere l’oblio.
E’ un osso duro.
Ci sta sul groppone,
ci pesa sul cuore,
sbarra il passo.

Non le si può sfuggire,
perché ci accompagna in ogni fuga.
E non c’è stazione
lungo il nostro viaggio
dove non ci aspetti.

da Wislawa Szymborska, Elogio dei sogni, a cura di Pietro Marchesani
Corriere delle Sera - Un secolo di poesia, a cura di Nicola Crocetti

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