12 maggio 2017

Thomas Stearns Eliot - Il canto dell’amore di J. Alfred Prufrock

John Atkinson Grimshaw - Pall Mall di Londra
Thomas Stearns Eliot - Il canto dell’amore di J. Alfred Prufrock

S’io credesse che mia risposta fosse
A persona che mai tornasse al mondo,
Questa fiamma staria senza più scosse.
Ma perciocché giammai di questa fondo
Non tornò vivo alcun, s’i’ odo il vero,
Senza tema d’infamia ti rispondo.

Allora andiamo, tu ed io,
Quando la sera è schiacciata contro il cielo
Come una paziente anestetizzata sul tavolo;
Andiamo, per certe strade semideserte,
Rifugi borbottanti
Di notti inquiete in miseri alberghi da una notte
E ristoranti con segatura e gusci d’ostrica;
Strade che proseguono come una discussione noiosa
Dall’intenzione insidiosa
Per condurti a una domanda ineluttabile…
No, non chiedere quale sia.
Andiamo, facciamo la nostra visita.

Nella stanza le donne vanno e vengono
Parlando di Michelangelo.
La nebbia gialla che gratta il dorso sui vetri delle finestre,
Il fumo giallo che gratta il muso sui vetri delle finestre,
Leccò la lingua negli angoli della sera,
Indugiò sulle pozze che stagnano negli scolatoi,
Lasciò cadere sul dorso la fuliggine che cade dai camini,
Scivolò dal terrazzo, fece un balzo improvviso,
E constatato che era una morbida sera d’ottobre ,
Si raggomitolò intorno alla casa, e si assopì.

E in effetti ci sarà tempo
Per il fumo giallo che sguscia per la strada
Grattando il dorso contro i vetri delle finestre;
Ci sarà tempo, ci sarà tempo
Per preparare una faccia per incontrare le facce da incontrare;
Ci sarà tempo per uccidere e creare,
E tempo per tutte le opere e i giorni delle mani
Che alzano e posano una domanda sul tuo piatto;
Tempo per te e tempo per me,
E ancora tempo per cento indecisioni,
E per cento visioni e revisioni,
Prima di prendere un toast col tè.

Nella stanza le donne vanno e vengono
Parlando di Michelangelo.

E in effetti ci sarà tempo
Per chiedersi, “oserò davvero?”, e ancora: “Oserò?”
Tempo di voltarsi e scendere le scale,
Con una chiazza calva in mezzo ai miei capelli…
(Diranno: “I suoi capelli si sono proprio diradati!”)
La mia giacca da mattino,il colletto che sale rigido fino al mento,
La mia cravatta ricca e modesta, ma esaltata da una spilla discreta…
(Diranno: “Le sue braccia e gambe si son proprio assottigliate!”)
Oserò davvero
Turbare l’universo?
In un minuto c’è tempo
Per decisioni e revisioni che un minuto può rovesciare.

Perché io li ho già conosciuti tutti, conosciuti tutti,
Ho conosciuto le sere, i crepuscoli, i mattini,
Ho misurato la mia vita a cucchiaini;
Conosco le voci che muoiono con un lento morire
Sotto la musica da una stanza lontana.
Dunque come potrei presumere?

E ho già conosciuto gli occhi, li ho conosciuti tutti,
Gli occhi che ti fissano in una frase formulata,
E quando io sono formulato, e mi divincolo su uno spillo,
Quando sono infilzato e mi contorco contro il muro
Come potrei allora cominciare
A sputar tutti i mozziconi dei miei giorni e i modi?
E come potrei presumere?

E ho già conosciuto le braccia, le ho conosciute tutte,
Braccia ingioiellate e bianche e nude
(Ma al lume della lampada, con la loro morbida peluria fulva!)
Sarà il profumo di una combinazione
Che provoca questa divagazione?
Braccia che si stendono su un tavolo, o si coprono di uno scialle.
E allora dovrei presumere?
E come dovrei cominciare?
. . . . . . . . . . . .

Dirò forse: Sono andato all’imbrunire per strade strette
E ho osservato il fumo che si leva dalle pipe
Di uomini solitari in maniche di camicia, con gomiti sui davanzali?...

Avrei dovuto essere un paio di ruvide pinze
Che procedono sul fondo di mari silenziosi.
. . . . . . . . . . . .

E il pomeriggio, la sera, sonnecchia così quietamente!
Carezzata da lunghe dita,
Addormentata… stanca… o all’apparenza sfinita,
Stesa sul pavimento, qui presso te e me.
Dovrei forse, dopo il tè, i biscotti e i gelati,
Avere la forza di costringere il momento a una spiegazione?
Ma per quanto io abbia pianto e digiunato, pianto e pregato,
Per quanto io abbia visto la mia testa (ormai leggermente glabra) introdotta su un vassoio,
lo non sono un profeta… e tutto questo importa poco;
Ho visto il momento della mia grandezza vacillare,
E ho visto l’eterno Lacchè porgermi la giacca e sogghignare,
E insomma, ho avuto paura.

E ne sarebbe valsa la pena, dopo tutto,
Dopo le tazze, la marmellata e il tè,
Fra le porcellane, fra le chiacchiere di te e me,
Ne sarebbe valsa la pena
Di aver addentato la faccenda con un sorriso,
Di aver compresso l’universo in una palla
Per scagliarla verso qualche ineluttabile,
E dire: “lo sono Lazzaro, tornato dai dei morti,
Tornato per raccontarvi tutto, io racconterò tutto” –
Se poi una, sistemandosi un cuscino sotto la testa
Dicesse: “Non volevo dire questo, per niente.
Non è così, per niente.”

E ne sarebbe valsa la pena, dopo tutto,
Ne sarebbe valsa la pena,
Dopo i tramonti e i cortili e le strade spruzzate,
Dopo i romanzi, dopo le tazze da tè, dopo le gonne fruscianti sul parquet
E questo, e altro ancora…
E’ impossibile dire esattamente quel che intendo!
Come se una lanterna magica proiettasse la trama dei nervi su uno schermo:
Ne sarebbe valsa la pena
Se poi una, aggiustandosi un cuscino e posando uno scialle,
E voltandosi verso la finestra, dicesse:
“Non volevo dire questo, per niente.
Non è così per niente”.
. . . . . . . . . . .

No! Non sono il Principe Amleto, né ero destinato a esserlo;
Sono un cortigiano del seguito, uno che va bene
Per impolpare un corteo, iniziare una o due scene,
Consigliare al principe; senza dubbio un burattino docile,
Deferente, felice di rendersi utile,
Avvertito, cauto, meticoloso;
Compiaciuto di belle frasi, ma abbastanza ottuso;
A volte, in effetti, quasi ridicolo…
A volte, quasi, lo Sciocco.

Sono invecchiato… Sono invecchiato…
Porterò il risvolto dei calzoni arrotolato.

Dividerò i miei capelli, dietro? Oserò mordere una pesca?
Mi metterò i calzoni di flanella bianca, e passeggerò sulla spiaggia.
Ho udito le sirene cantare, l’una all’altra.

Non penso che canteranno per me.

Le ho viste cavalcare le onde verso il largo
Pettinando la chioma bianca delle onde scarmigliata
Quando il vento sbianca e annera l’acqua.

Abbiamo indugiato nelle camere del mare
Preso ninfe inghirlandate di alghe rosse e brune
Finché svegliati da voci umane, per annegare.

traduzione di Massimo Bacigalupo
da T. S. Eliot,il sermone del fuoco a cura di Massimo Bacigalupo
Corriere delle Sera - Un secolo di poesia, a cura di Nicola Crocetti

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