11 maggio 2017

Una visione - Emily Bronte

Contemplation - Eugene de Blaas, dettaglio
 Una visione - Emily Bronte

Ero sola sul colle in pieno sole
nel pomeriggio d’estate: era il tempo
che maggio andava a nozze con il suo
giovane amante giugno.

Quella sposa regina d’ogni incanto
mesta lasciava il seno della madre,
ma il padre sorrideva alla fanciulla,
la più bella che avesse mai abbracciato.

Gli alberi creste piumate agitavano,
lieti gli uccelli intonavano canti,
fra gli ospiti alle nozze ero la sola
ad essere triste quel giorno!

Non v’era alcuno che non rifuggisse
dal mio aspetto lontano da ogni gioia
e le livide rocce nel guardarmi
mi chiedevano. “Che fai tu qui?”

Non avevo per loro una risposta:
anche io ignoravo perché mai volgessi
il mio torbido sguardo obnubilato
da tutto quel tripudio di splendore.

Su una distesa d’erica sostai
e strinsi a me il mio cuore;
ed ecco col mio cuore naufragai
in una triste fantasmagoria.

Pensavamo: “Al ritorno dell’inverno
dove saranno quelle belle luci?
Svanite, come una visione vana
come chimera pallida irreale.

Gli uccelli che ora cantano festosi
in deserti ghiacciati voleranno,
vacui spettri di morte primavere,
stormi erranti e famelici. Perché

dovremmo dunque allietarci? Di cosa?
La foglia non s’è ancora fatta verde
che reca già sulla sua superficie
il sigillo impietoso della morte”.

Ora, se questo accadde veramente
non saprò mai; ma so che in un convulso
tremante strazio min trovai distesa
nel grembo della mia brughiera. Lampi

a migliaia e migliaia di lucenti
fuochi parevano accendersi intorno;
e migliaia e migliaia arpe d’argento
d’intorno risuonavano, dovunque.

Il mio respiro stesso mi pareva
scintillare in pulviscoli divini,
ed il mio letto d’erica brillava
di quel celestiale splendore.

La terra intera risuonava d’echi:
suoni arcani d’ignoti menestrelli,
ed i piccoli spiriti di luce
questo canto intonarono per me.

“O mortali! Lasciate che la morte
tempo e lacrime annullino nel nulla,
il cielo finalmente riempiremo
di una gioia che non avrà mai fine!

Lo strazio laceri il cuore a chi soffre,
la notte oscuri fosca il suo cammino:
verso il riposo estremo lo sospinge,
verso il giorno che non conosce notte.

Il mondo è per te simile a una tomba,
la riva nuda di un deserto; noi
siamo nell’ineffabile splendore
che ogni declino ignora. Si potesse

alzare il velo, e lasciare che tu
un breve sguardo appena vi gettassi,
i vivi non compiangeresti più
perché vivono solo per morire”.

La musica cessò, ed il meridiano
sogno svanì come notturno sogno;
ma la mia Fantasia spesso sostiene
che non fu sogno, fu vera visione.

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