opera di Ichiro Tsuruta
da “A sud del confine,
a ovest del sole” - Haruki Murakami
(…)
A
scuola non riuscii a trovare l’occasione di parlare da solo con Inzumi. Durante
l’intervallo era stata sempre insieme alle sue amiche e, dopo le lezioni, era
tornata in tutta fretta a casa, da sola. Ci eravamo scambiati un solo sguardo
nel corridoio, durante un cambio di aula. Lei mi aveva rivolto un breve e dolce
sorriso e io avevo fatto lo stesso. Nient’altro. Quel sorriso mi aveva dato la
conferma di quello che era accaduto il giorno prima tra noi. Era come se avesse
voluto dirmi: “Sì, era tutto vero”. Mentre tornavo a casa in treno, quel senso
di inquietudine, dentro di me, era svanito.. In quel momento, il sano e forte
desiderio di lei prevaleva di gran lunga sui dubbi e le incertezze della notte
precedente. Volevo solo spogliare Izumi, toglierle tutti i vestiti di dosso e
fare l’amore con lei. Certo, la strada da fare per arrivarci era estremamente
lunga e c’erano diverse tappe da seguire. Bisognava cominciare abbassando la
lampo del vestito della ragazza, ma tre questo inizio e il momento finale dell’atto
sessuale, dovevano esserci perlomeno venti o trenta delicate decisioni e
valutazioni da prendere.
Innanzitutto
era necessario procurarsi un preservativo. Sarebbe passato ancora parecchio
tempo prima di usarlo, ma pensai che, intanto, dovevo averne uno.. Mi sarebbe
potuto servire da un momento all’altro. Ma andare a comprare i preservativi in
farmacia era fuori discussione: innanzitutto si vedeva subito che ero solo un
ragazzo di seconda liceo, e poi non avrei mai avuto il coraggio. Nel mio
quartiere c’erano alcuni distributori automatici, ma sarebbe stato imbarazzante
essere visto da qualcuno mentre li compravo. Per tre o quattro giorni,
continuai a tormentarmi su questo problema.
Alla
fine, però, tutto si risolse più facilmente del previsto. Avevo un amico
piuttosto informato di faccende del genere e così decisi di rivolgermi a lui.
“Avrei
bisogno di qualche preservativo. Sai come posso procurarmelo?” gli domandai.
“Cosa
vuoi che sia! Te ne porto subito una scatola”, disse lui, come se niente fosse.
“Mio fratello ne ha un’ampia scorta che compra per corrispondenza. non capisco
a che cosa gli servano tanti preservativi, ,a nell’armadio a muro ne ha un
mucchio. Se gliene prendo uno non se ne accorgerà!”
“Magari
potessi darmene uno!”
Il
giorno dopo a scuola mi portò un preservativo, avvolto in un sacchetto di
carta. Gli offrii il pranzo e gli raccomandai di non farne assolutamente parola
con nessuno.
“Certamente!”
mi assicurò lui. “Non sono cose che vado a spifferare in giro!” Evidentemente,
però, non mantenne la promessa. raccontò a diverse persone che gli avevo
chiesto dei preservativi. La notizia fece il giro della scuola e alla fine
anche Izumi lo venne a sapere da una sua amica. un giorno mi chiamò e mi diede
appuntamento, dopo le lezioni, sul terrazzo della scuola.
“Hajime,
è vero che Nishida ti ha dato un preservativo?”
mi
disse, pronunciando a fatica la parola “preservativo,” come se stesse parlando
di un immondo batterio, portatore di terribili epidemie.
“Ehm…
sì,” risposi io, cercando di trovare le parole più adatte. In quel momento,
però, non i veniva in mente assolutamente nulla. “Ma non significa niente, è da
prima che pensavo fosse meglio averne uno.”
“Te
lo sei fatto dare per usarlo con me?”
“Non
è proprio così. Ero solo curioso, ma se questo ti ha infastidito, ti chiedo
scusa. Posso restituirlo o gettarlo.”
Stavamo
seduti uno accanto all’altra, su una piccola panchina di pietra in un angolo
del terrazzo. sembrava che stesse lì l’ per piovere e così tutti erano andati
via da lassù. intorno non si sentiva volare una mosca, non sapevo che quel
terrazzo potesse essere così silenzioso.
La
nostra scuola so trovava su una collina e da lassù si dominava con lo sguardo
la città e il mare. Una volta avevamo sottratto dall’aula del Club di Radiodiffusione
una decina di vecchi dischi e da sopra il terrazzo li avevamo lanciati in aria,
come dei frisbee. Erano volati descrivendo una curva perfetta. Trasportati dal
vento, si erano diretti felici verso il porto, come se fossero stati
attraversati, per un attimo, da un fugace soffio di vita. Un disco, però, non
era riuscito a prendere la direzione giusta ed era caduto, ondeggiando
maldestramente, sul campo da tennis. Le ragazze del primo anno che si stavano
esercitando alla battuta si spaventarono e noi fummo puniti. Era passato più di
un anno da allora e mi trovavo nello stesso posto con la mia ragazza che mi
chiedeva, con tono severo, spiegazioni su un preservativo. Alzando gli occhi al
cielo si vedeva un nibbio che volteggiava lentamente, descrivendo dei bei cerchi
nell’aria. Magari doversi essere un nibbio, pensai. Tutto ciò che doveva fare,
era volare, senza doversi preoccupare di problemi di contraccezione.
“Ma
tu mi vuoi veramente bene?” mi chiese con voce sommessa.
“Certamente,”
risposi. “Certo che ti voglio bene,”
mi
guardò dritto negli occhi, con le labbra serrate. Mi fissò così a lungo da
farmi sentire in imbarazzo.
(…)
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