Esiste navigando un
desiderio che sta al di là della necessità di capire: la meta non è più
arrivare: è navigare; contro il tempo, malgrado il tempo, a favore del tempo,
nonostante il tempo, in mezzo al tempo.
Fabrizio
De André
Mi comperai la vita
con i canti e i sorrisi.
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Dimostro di avere sempre avuto, sia da giovane che da anziano, pochissime idee ma in compenso fisse.
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Non chiedete a uno scrittore di canzoni che cosa ha pensato, che cosa ha sentito prima dell’opera: è proprio per non volervelo dire che si è messo a scrivere. La risposta è nell’opera.
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Perché scrivo? Per paura. Per paura che si perda il ricordo della vita delle persone di cui scrivo. Per paura che si perda il ricordo di me. O anche solo per essere protetto da una storia, per scivolare in una storia e non essere più riconoscibile, controllabile, ricattabile.
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Gli artisti, maledizione! Un intellettuale integrato, poverino, io lo capisco: è uno che legge dentro le righe e capisce quello che succede molto più degli altri. Capisco che se non è artista, se non riesce a trasformare quello che capisce in qualcosa d’altro che arriva ancora meglio, deve integrarsi: l’artista è un anticorpo che la società si crea contro il potere. Se si integrano gli artisti, ce l’abbiamo nel culo!
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Difficilmente vado in cerca di un’idea: aspetto pazientemente di esserne aggredito.
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Raramente un artista
è stato un eroe. Più spesso vive isolato e come timidissimo coniglio.
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Si comincia col prendere una chitarra e si finisce col prendere della fica.
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Quando si comincia ad usare la chitarra per fare canzoni si perde amore per lo strumento e lo strumento ti contraccambia come una moglie trascurata; bisogna sottoporsi a grossi recuperi e a vistosi corteggiamenti.
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Una canzone, come ogni altra forma di espressione artistica o parartistica, deve servire a qualcosa: può servire a creare un attimo di distensione, un momento di spensieratezza e certe volte può essere utile a far pensare, meditare su determinati problemi.
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Il dato più certo che emergeva dalle canzoni di Luigi [Tenco], soprattutto da quelle a sfondo sociale e, per chi lo conosceva bene, anche dal suo comportamento e dai suoi discorsi, era una sorta di orrore per l’ingiustizia: di solito però questo disgusto per l’ingiustizia, soprattutto sociale, era accompagnato da una ferma volontà di cambiare le cose e questo secondo dato, sicuramente positivo, era quello che lo faceva agire, scrivere canzoni, lo sollevava da un certo pessimismo di fondo, lo confortava di un certo ottimismo.
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Di un omicidio sono responsabili soltanto gli autori del crimine ed eventualmente i loro mandanti; di un suicidio, invece, è generalmente responsabile tutta la società o almeno quella microsocietà che lo ha reso possibile.
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Questo nostro mondo è
diviso in vincitori e vinti, dove i primi sono tre e i secondi tre miliardi.
Come si può essere ottimisti?
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Saremmo messi bene se ci dovessimo accontentare delle chiose socio-politiche di De André. Anche ammesso, e per niente concesso, un paritetico livello culturale con uno Sciascia, mi pare ci siano anni luce di distanza tra la mia e la loro [di Sciascia e altri intellettuali] capacità di analisi, tra i miei versi per canzone e la loro forza letteraria. Il problema è che con la loro scomparsa siamo rimasti orfani dei migliori polemisti nazionali e gli spazi vuoti, si sa, bisogna riempirli in qualche modo, magari con surrogati meno tristi dell’orzo, per esempio ascoltandosi un disco di De André o di De Gregori, oppure appendendosi alle bretelle sempre più scolorite di Ferrara. Rimane il conforto di Gianni Borgna, che se da un lato mi meraviglia, dall’altro appaga il mio sfrenato narcisismo.
Saremmo messi bene se ci dovessimo accontentare delle chiose socio-politiche di De André. Anche ammesso, e per niente concesso, un paritetico livello culturale con uno Sciascia, mi pare ci siano anni luce di distanza tra la mia e la loro [di Sciascia e altri intellettuali] capacità di analisi, tra i miei versi per canzone e la loro forza letteraria. Il problema è che con la loro scomparsa siamo rimasti orfani dei migliori polemisti nazionali e gli spazi vuoti, si sa, bisogna riempirli in qualche modo, magari con surrogati meno tristi dell’orzo, per esempio ascoltandosi un disco di De André o di De Gregori, oppure appendendosi alle bretelle sempre più scolorite di Ferrara. Rimane il conforto di Gianni Borgna, che se da un lato mi meraviglia, dall’altro appaga il mio sfrenato narcisismo.
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