Clara Peeters - Tavola
Il Gattopardo - Giuseppe Tomasi di Lampedusa
L’oro brunito dell'involucro, la
fragranza di zucchero e di cannella che ne emanava, non era che il preludio
della sensazione di delizia che si sprigionava dall’interno quando il coltello
squarciava la crosta: ne erompeva dapprima un fumo carico di aromi e si
scorgevano poi i fegatini di pollo, le ovette dure, le sfilettature di
prosciutto, di pollo e di tartufi nella massa untuosa, caldissima dei
maccheroni corti, cui l’estratto di carne conferiva un prezioso color camoscio.
L’inizio del pasto fu, come avviene in provincia, raccolto. L’arciprete si fece
il segno della croce, e si lanciò a capofitto senza dir parola. L’organista
assorbiva la succolenza del cibo ad occhi chiusi: era grato al Creatore che la
propria abilità nel fulminare lepri e beccacce gli procurasse talvolta simili
estasi, e pensava che col solo valore di uno di quei timballi lui e Teresina
avrebbero campato un mese; Angelica, la bella Angelica, dimenticò i migliaccini
toscani e parte delle proprie buone maniere e divorò con l’appetito dei suoi
diciassette anni e col vigore che la forchetta tenuta a metà dell’impugnatura
le conferiva. Tancredi, tentando di unire la galanteria alla gola, si provava a
vagheggiare il sapore dei baci di Angelica, sua vicina, nel gusto delle
forchettate aromatiche, ma si accorse subito che l’esperimento era disgustoso e
lo sospese, riservandosi di risuscitare queste fantasie al momento del dolce;
il Principe, benché rapito nella contemplazione di Angelica che gli stava di
fronte, ebbe modo di notare, unico a tavola, che la démi-glace era
troppo carica, e si ripromise di dirlo al cuoco l’indomani; gli altri
mangiavano senza pensare a nulla, e non sapevano che il cibo sembrava a loro
tanto squisito perché un’aura sensuale era penetrata in casa.
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