Potenza
celeste che ti nascondi nelle pieghe
dell’encefalo,
dote
senza fondo elargita al genere umano
in
saecula saeculorum,
tu sei
innumere come la via lattea
e
molteplice come l’erba.
Potente
gemella dell’intelligenza,
mano
nella mano
celebri
con essa una triste tiritera.
Sì, è
forte, come tu ci ispiri in sempre
nuove
guise,
come
scemenza femminile e come idiozia
maschile,
come
sprizzi dagli occhi iniettati di sangue
del
picchiatore
e muovi
passetti con aristocratica boria
tossicchiante,
come ci
fiati addosso con l’alito cattivo
di una
musa sbronza
e come
polisillabo delirare nel seminario
filosofico.
Cosa
sarebbe l’uomo d’azione senza di te,
stupidità
granitica, totale e idiota,
che
corri ardente per le sue vene come una
overdose
di amfetamina,
e cosa
il ricercatore senza l’idea fissa che
insegue
per i
bianchi corridoi del suo istituto come
la
pantegana nel labirinto?
Senza
contare la storia universale: di chi
mai si
ricorderebbe,
se non
dei vincitori, nella sua ottusità
napoleonica?
Sicché
a noi sarà trasmesso lo stolido
orgoglio
del vincitore
e il
rancore sordo del perdente, solo di
quando
in quando addolcito
dallo
sproloquio ispirato dei sacerdoti
delle
sette,
dei
comici e dei bevitori coatti. Stupidità,
tu
spesso diffamata, che nella tua
scaltrezza
ti
fingi più stupida di quello che sei,
protettrice
di tutti i menomati,
solo
agli eletti concedi il tuo dono più raro,
la
benedetta semplicioneria dei sempliciotti.
Essi
sono le pagine bianche nel tuo grande
libro
che a
nessuno di noi tu dissigilli.
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