19 maggio 2018

da "Kitchen" - Banana Yoshimoto

Marc chalme - les arbres
da "Kitchen" - Banana Yoshimoto
(…)
Ma non potevo andare avanti così per sempre. E’ incredibile, la realtà.
La nonna mi aveva lasciato denaro a sufficienza, ma l’appartamento in cui abitavo era troppo grande e costoso per una persona sola, bisognava che ne cercassi un altro.
non sapendo dove battere la testa comprai una rivista di annunci e cominciai a guardarla, ma le offerte di case, che erano tante e sembravano tutte uguali, mi diedero il capogiro. Trasloco significava lavoro. Energia.
io ero senza forze e avevo dolori dappertutto per quel mio dormire sul pavimento di cucina. non potevo far finta che non fosse così. Dove avrei trovato l’energia per andare in giro a vedere appartamenti? per trasportare bagagli? per richiedere il telefono?
Ricordo bene quel pomeriggio, me ne stavo sdraiata pensando con disperazione a una lista interminabile di problemi quando mi capitò un miracolo, qualcosa caduto dal cielo.

Din-don. All’improvviso suonò il campanello.
Era un pomeriggio un po’ nuvoloso di primavera. Avevo dato solo una sbirciata alla rivista di annunci, ma ne avevo avuto subito abbastanza, ed ero assorbita dall’operazione di legare con lo spago alcuni giornali in vista dell’eventuale trasloco. Sorpresa corsi alla porta così com’ero, vestita a metà, e senza chiedere chi fosse girai la chiave ed aprii. Per fortuna non era un ladro, era Yuichi Tanabe.
“Ah”, salve. Grazie ancora per l’altro giorno,” dissi. Era un ragazzo simpatico, di un anno minore di me. Al funerale era stato di grande aiuto. Mi aveva detto che studiava alla mia stessa università. Io in quei giorni non ci andavo.
“Figurati,” disse lui. “Già trovato l’appartamento?”
“Macché. Ancora niente,” risposi io e sorrisi.
“Beh, non è facile.”
“Vuoi entrare a bere qualcosa?”
“No, grazie, vado di fretta,” disse, e sorrise. “Sono salito solo un attimo per dirti una cosa. Ho parlato con mia madre e… non verresti a stare da noi per un po’?”
“Cosa?” feci io.
“In ogni caso, vieni da noi stasera verso le sette. Ti ho fatto una mappa per trovare la strada.”
“Ah.” Confusa presi il pezzo di carta.
“Allora, d’accordo. Mikage, io e mia madre siamo davvero contenti che tu venga. Ti aspettiamo.”
Sorrise di nuovo. C’era nel suo sorriso una tale freschezza che non riuscivo a staccare lo sguardo da lui. I suoi occhi mi sembravano vicinissimi mentre stava lì, in quell’ingresso che mi era così familiare. Ma doveva essere anche il fatto di sentirmi chiamare per nome all’improvviso.
“Hmm… allora va bene, vengo.”
Lo so, poteva essere l’insidia di un diavolo. Ma lui era così cool. Sentii che potevo fidarmi. Nell’oscurità che mi circondava apparve una strada, come sempre accade quando un diavolo ti tenta. Ma era bianca, luminosa, e sembrava sicura, perciò risposi sì.
“Bene, allora a più tardi,” disse lui sorridendo, e se ne andò.
(...)

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