dipinto do Kenton Nelson
da “Gli amori
difficili”. L'avventura di un
impiegato, (1953) – Italo
Calvino
(…)
Per il suo lavoro,
Gnei nutriva quel trasporto amoroso che, pur inconfessato, accende il cuore
agli impiegati, appena sanno di che dolcezze segrete e di che furioso fanatismo
si possa caricare la più abituale pratica burocratica, il disbrigo
d'indifferente corrispondenza, la tenuta puntuale d'un registro. Forse la sua
inconscia speranza quel mattino era che l'esaltazione amorosa e la passione impiegatizia
facessero un tutto unico, si potessero trasfondere l'una nell'altra, per
continuare a bruciare senza spegnersi. Ma bastò la vista della sua scrivania,
l'aspetto usuale di una cartella verdolina con la scritta «Sospesi» per fargli
sentire acuto il contrasto tra la bellezza vertiginosa da cui s'era appena staccato
e i suoi giorni di sempre.
Girò più volte
attorno alla scrivania, senza sedersi. Era stato colto da un improvviso,
urgente innamoramento per la bella signora. E non poteva avere requie. Entrò
nell'ufficio vicino, dove i contabili battevano, con attenzione e scontentezza,
sopra i tasti. Si mise a passare davanti a ognuno di loro, salutandoli,
nervosamente ilare, sornione, crogiolandosi nel ricordo, senza speranze nel
presente, folle d'amore tra i contabili. «Come ora io mi muovo in mezzo a voi
nel vostro ufficio, - pensava, - così mi voltavo tra le coltri di lei, ora è
poco». - Sissignore, è così, Marinotti! - disse battendo un pugno sulle carte
d'un collega. Marinotti alzò gli occhiali e chiese lentamente: - Dì, ma anche a
te, Gnei, sullo stipendio di questo mese hanno trattenuto quattromila lire in
più? - No, caro mio, già a febbraio, - cominciò a dire Gnei, e intanto gli
venne in mente una movenza della signora, di sul tardi, nelle ore del mattino,
che a lui era parsa una rivelazione nuova e aveva aperto immense possibilità
d'amore sconosciute, - no, già a me avevano trattenuto, - continuò con voce blandissima
e muoveva la mano davanti a sé dolcemente a mezz'aria e protendeva le labbra, -
m'avevano trattenuto l'intera somma sullo stipendio di febbraio, Marinotti.
Avrebbe voluto
aggiungere ancora particolari e spiegazioni, pur di continuare a parlare, ma
non ne fu capace.
«Questo è il segreto,
- decise, ritornando nel suo studio: - che in ogni momento, in ogni cosa che io
faccio o dico, sia implicito tutto quello che ho vissuto». Ma lo rodeva
un'ansia, di non potere mai essere pari a quello che era stato, di non riuscire
a esprimere, né con allusioni e men che meno con parole esplicite, e forse
neppure col pensiero, la pienezza che sapeva d'aver raggiunto.
Suonò il telefono.
Era il direttore. Chiedeva i precedenti del reclamo Giuseppieri.
- Vede, signor
direttore, - spiegò al telefono il Gnei, - la ditta Giuseppieri in data sei di
marzo... - e voleva dire: «Ecco che quando lei disse lentamente: Se ne va...?
io capii che non dovevo lasciare la sua mano...»
- Sì, signor
direttore, il reclamo era per merce già fatturata... - e pensava di dire:
«Finché la porta non si richiuse alle nostre spalle, io ancora dubitavo...»
- No, - spiegava, -
il reclamo non è stato fatto tramite l'agenzia... - e intendeva: «Ma allora
solo capii ch'era tutta diversa da come l'avevo creduta, fredda e altera...»
Posò il ricevitore.
Aveva la fronte imperlata di sudore. Si sentiva stanco, adesso, carico di
sonno. Aveva fatto male a non passare a casa a rinfrescarsi e a cambiarsi:
anche i panni addosso gli davano fastidio.
S'avvicinò alla
finestra. C'era un grande cortile circondato da pareti alte e popolose di
balconi, ma era come stare in un deserto. Il cielo si vedeva sopra i tetti non
più limpido ma sbiancato, invaso da una patina opaca, così come nella memoria
di Gnei un opaco biancore andava cancellando ogni ricordo di sensazioni, e la
presenza del sole era segnata da un'indistinta, ferma macchia di luce, come una
sorda fitta di dolore.
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