Fernando Botero - Rosita, 1973. Museo Antioquia di Medellin
da “Gli amori
difficili” – Italo Calvino
L'avventura di un bandito, (1949)
(…)
- Vuol dire che Lilin
andrà sul sofà; su, Lilin, dài, Lilin bello, và via.
Lilin mosse le lunghe
mani in aria, cercò il tabacco sul tavolino, si tirò su mugolando, uscì dal
letto senza quasi aprire gli occhi, prese il guanciale, la coperta, le cartine,
i fiammiferi, - Vai, Lilin bello, - andò via trascinando la coperta per il
corridoio. Soddu si rigirava già tra le lenzuola.
Di là Gim guardava
dai vetri del finestrino il cielo diventare verde. Aveva dimenticato le
sigarette sul comodino, questo era il guaio. E adesso quell'altro si metteva a
letto e lui doveva restar rinchiuso fino a giorno tra quel bidè e quelle
scatole di borotalco senza poter fumare. S'era rivestito in silenzio, s'era
pettinato a puntino guardandosi nello specchio del lavabo, oltre la siepe di
profumi e colliri e perette e medicine e insetticidi che guarniva la mensola.
Lesse qualche etichetta alla luce del finestrino, rubò una scatola di
pastiglie, poi continuò il giro della toilette. Non c'erano molte scoperte da
fare: panni in un catino, altri stesi. Si mise a provare i rubinetti del bidè;
l'acqua schizzò con rumore. E se Soddu sentiva? Al diavolo Soddu e la galera.
Gim era annoiato, tornò al lavabo, si profumò di Colonia la giacca, si mise
della brillantina. Certo, se non l'arrestavano oggi l'arrestavano domani, ma la
flagranza non c'era, se tutto andava bene lo mandavano fuori subito. Aspettare
lì ancora due, tre ore senza sigarette, in quello sgabuzzino... chi glie lo
faceva fare?
Certo: l'avrebbero
messo fuori subito. Aperse un armadio: cigolò. Al diavolo l'armadio e tutto il
resto.
Dentro c'erano
vestiti d'Armanda appesi. Gim mise la sua rivoltella in tasca a una pelliccia.
«Passerò a prenderla, - pensò, - tanto questa fino all'inverno non la mette».
Tirò fuori la mano bianca di naftalina. «Meglio: non si tarla», rise. Andò
ancora a lavarsi le mani, poi le salviette d'Armanda gli facevano senso e
s'asciugò in un cappotto dell'armadio.
Soddu coricato aveva
sentito rumore di là. Posò una mano su Armanda. - Che c'è? - Lei gli si voltò addosso,
gli girò un suo braccio grande e molle intorno al capo: - Niente... Che vuoi
che sia... – Soddu non voleva liberarsi, pure sentiva muovere di là e chiedeva,
come giocando: - ...Che c'è, eh?... eh, che c'è?
Gim aprì la porta. -
Andiamo, maresciallo, non far lo scemo, arrestami.
Soddu allungò la mano
alla rivoltella nella giacca appesa, ma senza scostarsi da Armanda. - Chi va
là?
- Gim Bolero.
- Alto le mani.
- Son disarmato,
maresciallo, non far lo scemo. Mi costituisco.
Era in piedi a capo
del letto, con la giacca sulle spalle e le mani alte a mezz'aria.
- O Gim, - fece
l'Armanda.
- Tra qualche giorno
ripasso a trovarti, Anda, - fece Gim.
Soddu s'alzava
lamentandosi, s'infilava i calzoni. - Maledetto servizio... Non puoi stare mai
in pace...
Gim prese le
sigarette dal comodino, accese, mise il pacchetto in tasca.
- Fammi fumare, Gim,
- disse Armanda, e si protese alzando il molle petto.
Gim le mise una
sigaretta in bocca, le accese, aiutò Soddu a mettersi la giacca. - Andiamo,
marescià.
- Vuol dire che sarà
per un'altra volta, Armanda, - fece Soddu.
- Arrivederci,
Angelo, - lei disse.
- Arrivederci, neh,
Armanda, - disse ancora Soddu.
- Ciao Gim.
Andarono. Nel
corridoio Lilin dormiva abbarbicato al ciglio dello sfiancato sofà; non si
mosse neanche.
Armanda fumava seduta
nel gran letto; spense l'abatjour perché una luce grigia entrava già nella
camera.
- Lilin, - chiamò. -
Vieni, Lilin, vieni a letto, su, Lilin bello, vieni.
Lilin
già raccoglieva il guanciale, il portacenere.
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