18 maggio 2018

da “A sud del confine, a ovest del sole” - Haruki Murakami

opera di Choi Mi Kyung
da “A sud del confine, a ovest del sole” - Haruki Murakami
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Durante il liceo ero un ragazzo normale come tanti altri. Era la seconda fase della mia esistenza: un processo evolutivo che mi aveva portato ad abbandonare l’idea di essere diverso, per poter diventare una persona normale. A un occhio attento non sarebbe sfuggito che, in realtà, ero solo un adolescente pieno di problemi. Ma quale ragazzo di sedici anni ne ha? Sentivo che stavo avvicinandomi a poco a poco al mondo e che il mondo veniva verso di me.
A sedici anni, non ero il più fragile figlio unico di una volta. Durante le medie, avevo cominciato, quasi per caso, a prendere lezioni di nuoto in una piscina vicino a casa mia. Imparai bene il crawl e due volte le settimana cominciai a fare del proprio lap swimming. Grazie al nuoto, le spalle e il petto mi si irrobustirono in un batter d’occhio e i miei muscoli diventarono solidi e forti. Non ero più il bambino gracile di prima, spesso costretto a rimanere a letto con la febbre. adesso passavo ore, nudo davanti allo specchio della stanza da bagno, a esaminare il mio corpo nei dettagli. Vedevo con i  miei occhi, a uno a uno, i cambiamenti improvvisi e inaspettati che stava subendo. Ero contento di cambiare, ma non perché sarei diventato adulto e sarei cresciuto: era l’idea stessa della trasformazione a piacermi. Il vecchio Hajime sarebbe scomparso per lasciare il posto a un nuovo essere umano.
Leggevo molti libri e ascoltavo spesso la musica. Avevo sempre avuto queste due passioni, ma l’amicizia con Shimamoto le aveva incentivate e arricchite. Andavo sempre in biblioteca e “divoravo” uno dopo l’altro tutti i volumi che c’erano, fino all’ultima riga. Una volta iniziato il libro, non potevo più smettere. La lettura era come una droga per me. Leggevo a tavola, in treno, a letto fino all’alba, di nascosto durante le lezioni. Avevo comprato un impianto stereo e, non appena avevo un attimo di tempo, mi chiudevo in camera mia ad ascoltare dischi di jazz. ma non avevo alcun desiderio di parlare con gli altri delle mie esperienze di lettura o di musica. Ero contento e mi sentivo a mio agio a essere me stesso e nessun altro. Ero un ragazzo molto solitario che non dava confidenza a nessuno. Non mi piacevano per niente gli sport di squadra, odiavo dover competere con qualcuno per guadagnare dei punti, amavo semplicemente starmene da solo a fare lunghe e silenziose nuotate.
non è che, però, stessi sempre da solo. in classe avevo degli amici del cuore, anche se pochi, la scuola in sé non mi era mai piaciuta. era come se tutti cercassero continuamente di schiacciarmi e io dovessi essere sempre pronto a difendermi. Senza quei pochi amici più cari, gli anni inquieti della mia adolescenza avrebbero lasciato in me ferite profonde.
Da quando avevo cominciato a fare sport non ero più tanto schizzinoso nel mangiare e quando parlavo con una ragazza, non diventavo più rosso per un nonnulla. Qualche volta gli altri si accorgevano che ero figlio unico, ma nessuno sembrava più farci particolarmente caso. Almeno in apparenza, sembrava che mi fossi liberato da quel “sortilegio” che mi condannava a rimanere per sempre un figlio unico.
Avevo anche una ragazza.
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