18 maggio 2018

Giuseppe Tomasi di Lampedusa – La sirena

Mario Calogero - Natura morta con ricci di mare
Giuseppe Tomasi di Lampedusa – La sirena
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Quando, in salotto, la buona signora Carmagnola entrò portando il vassoio con i ricci, i limoni e il resto, il senatore rimase estatico. "Co me? Hai pensato a questo? Come fai a sapere che sono la cosa che desidero di più?" "Può mangiarli sicuro, senatore, ancora stamani erano nel mare della riviera". "Già, già, voialtri siete sempre gli stessi, con le vostre servitù di decadenza, di putrescibilità, sempre con le lunghe orecchie intente a spiare lo strascichio dei passi della Morte. Poveridiavoli! Grazie, Corbera, sei stato un buon  ‘famulus'. Peccato che non siano del mare di laggiù,questi ricci, che non siano avvolti nelle nostre alghe; i loro aculei non hanno certo mai fatto versare un sangue divino. Certo hai fatto quanto era possibile, ma questi sono ricci quasi boreali, che sonnecchiavano sulle fredde scogliere di Nervi o di Arenzano". Si vedeva che era uno di quei siciliani per i quali la Riviera Ligure, regione tropicale per i milanesi, è invece una specie d'Islanda. I ricci, spaccati, mostravano le loro carni ferite, sanguigne, stranamente compartimentate. Non vi avevo mai badato prima di adesso, ma dopo i bizzarri paragoni del senatore, essi mi sembravano davvero una sezione fatta in chissà quali delicati organi femminili. Lui li degustava con avidità ma senza allegria, raccolto, quasi compunto. Non volle strizzarvi sopra del limone. "Voialtri, sempre con i vostri sapori accoppiati! Il riccio deve sapere anche di limone, lo zucchero anche di cioccolata, l'amore anche di paradiso!" Quando ebbe finito bevve un sorso di vino, chiuse gli occhi. Dopo un po' mi avvidi che da sotto le  palpebre avvizzite gli scivolavano due lacrime.
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