1 luglio 2018

Contadino della tua vigna - Gezim Hajdari

opera di John Silver
Contadino della tua vigna - Gezim Hajdari

Fanciulla della Ciociaria,
mia dolcezza, fiore selvatico delle colline di Saturno,
sei una puledra focosa che corre per i campi trebbiati
tirando calci al vento,
piena di odori e fiumi femminili,
profuma la tua pelle mora e inebria gli erranti.
Appena ti sfioro, il tuo corpo freme,
il tuo pube si apre come una rosa fresca ,
come la melagrana matura nella mia Darsìa
che toccata dalle prime gocce delle piogge autunnali
si spaccava e gocciava sul suolo assetato,
conducimi nei tuoi inni, nelle tue curve ombrose.
Mi incanto nell’odorare la tua carne giovane e lussuriosa
che eccita il mio giunco,
il tuo seno polposo all’insù avanza
verso i miei cieli nudi.
Io vengo da una regione di eros
è per questo che fremo di desiderio;
nel mio villaggio ero circondato in ogni istante da attimi d’amore:
fichi neri sui rami che si aprivano e gocciavano,
fiori di iris, dal colore della tua ferita, avvolgevano
la mia casetta giorno e notte.
Albicocche dal sapore di miele che pervadeva la mia stanzetta
e il gelso rosso, le more, le visciole che provocavano le mie mani
e le mie labbra con il loro mosto,
come fosse il sangue della prima notte.
Ogni mattina sull’erba del mio giardino trovavo petali di rose rosse
cadute di notte sull’erba verde
ed io divenivo un toro infuriato nell’arena;
cotogne mature spezzavano le tegole della casetta di pietra
a notte fonda,
svegliandomi dai sogni erotici notturni.
Oh, i chicchi d’uva bianca come i tuoi capezzoli succosi
pieni di latte e di desideri,
l’anguria fresca sfiorata dai miei passi che si apriva all’istante,
come oggi la ferita tra le tue cosce dove scorrono le tue acque
che fluiscono nelle mie acque
bianche come la rugiada delle valli
si modellano le orme delle mie labbra umide sul tuo ventre ardente di donna.
Oh, la neve bianca sulle colline che mi faceva ricordare il velo
delle spose del villaggio nel giorno del matrimonio,
oh, il lenzuolo macchiato di sangue della prima notte
appeso nel giardino alla vista di tutti,
giuggiole e corniole rosse come un rosario intorno al tuo collo di cerbiatta
e il vomere che arava la terra come fosse il corpo maturo
della mia bella vicina di allora.
Bevo la tua verginità come un folle,
come bevevo il succo della melagrana spaccata nella mia collina nei meriggi di ottobre;
la mia giovinezza trascorreva nel tormento,
la mia Darsìa provocava il mio eros ogni momento, giorno e notte.
Cosa non ho fatto per placare i miei istinti sessuali al tempo
[della dittatura albanese,
flagellando la mia parte bassa legata al peccato
e bevendo latte di capra.
Erano tempi duri di castità di Stato,
chi rubava un bacio commetteva un’eresia
e finiva in prigione per stupro e violenza,
strano spettacolo di vita si giocava nella mia patria
e a me è toccato nascere proprio nella regione
più erotica e più proibita del mondo;
dove ho visto i contadini castrare i testicoli del toro
con le pietre
e la vitella accanto che guardava stupita il castigo crudele inflitto al suo amoroso,
nessuno ha mai visto una castrazione così terribile.
Voglio esplorarti cellula per cellula,
voglio bere tutti i ruscelli dei tuoi laghi,
tutte le tue lune piene;
nessuno potrebbe attraversarti come me ex pastore di capre,
grida, strilla, di più, di più voglio sentire ogni tuo gemito profondo,
sazierò ogni tuo desiderio scabroso
morderò come un affamato la tua pelle,
le colline nude dei tuoi seni di pesca.

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