dipinto di Kenton Nelson
da “Discorso dell’assente” - Jiri Orten
[...] Vuoi un pezzo di questa conversazione! Ecco qui: (Si parla di un
libro) Allora anche lei scribacchia? (dice il padrone ) – Io taccio-
Scribacchia? Scribacchia? E cosa scribacchia? – Così, quel che capita.- E
magari teatri, no? e poi li recita nella scuola, no? (dice la padrona) –
Io scrivo versi!- (Pam! Sentono questa parola per la prima volta,
sorridono senza capire, e quando me ne
andrò diranno che sono un tipo strano, che non faccio contenta la mamma,
che sono un buono a nulla e che sarebbe meglio se facessi qualcosa di
pratico). Sorrido, ma c’è poco da ridere. Gente simile è un muro intorno
all’anima e di muri siffatti ce n’è a milioni, quante sono le stelle,
impenetrabili, massicci, ignari. Sbattici contro e se ne stacca una
pietruzza appena, e il piccolo buco subito si riottura. Questa gente ha
vissuto molto più a lungo di me , ma non ha visto, non ha sentito e non
ha provato niente tranne il suo muro. – Io anch’io ho il mio muro,
certo. Ma questo muro mi opprime almeno, almeno mi soffoca, almeno mi
cade addosso. Sono un cattivo lavoratore, il mio muro è forato, pieno di
buchi, è come una visione del cappottino di Rimbaud. – non è quindi
orgoglio ciò di cui ti parlo. Ma amo molto i ciechi, che imparano ad
andare senza il bastone bianco. Che cadano, che inciampino, ma procedano
appoggiandosi a se stessi!
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