14 luglio 2018

da “Il canto di Penelope” - Margaret Atwood

Pierre Etienne Moitte - I Proci sollecitano Penelope alla decisione
da “Il canto di Penelope” - Margaret Atwood
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I pretendenti si rimpinzano
Vagavo per i campi l’altro giorno, se di giorno si può parlare, mordicchiando il gambo di un asfodelo, quando ho incontrato Antinoo. Di solito passeggia impettito, vestito con una tunica e un mantello molto eleganti, spille d’oro e tutto il resto, aggressivo e altezzoso, facendosi largo a spallate fra gli altri spiriti, ma appena mi vede, prende l’aspetto del proprio cadavere, con il sangue che sgorga dalla fronte e una freccia che gli attraversa il collo.
Era stato il primo dei pretendenti a essere colpito da Odisseo. Questa esibizione della freccia nel collo è un ammonimento rivolto a me, almeno nelle sue intenzioni, ma io non mi lascio impressionare. Antinoo da vivo era un flagello e un flagello rimane.
«Salute, Antinoo. Perché non ti togli quella freccia dal collo?»
«È la freccia del mio amore, Penelope divina bellezza, pura e intelligente tra tutte le donne» mi ha risposto. «Sebbene la freccia provenga dal famoso arco di Odisseo, in realtà il crudele arciere è stato Cupido stesso. La porto in memoria della grande passione che ho nutrito per te e che mi ha condotto alla tomba.» E va avanti così, con quel tono fatuo che spesso esibiva invita.
«Suvvia, Antinoo» ho proseguito «ora sei morto, perché ti ostini ad andare in giro in questo modo? Che cosa ci guadagni? Non serve a niente quest’aria da vittima. Sii gentile, togliti quella freccia. Non credere di sembrare più bello.»
Mi ha rivolto uno sguardo funereo, da cane bastonato. «Spietata in vita, spietata nella morte» ha sospirato. Ma la freccia e il sangue sono scomparsi e il suo colorito bianco verdognolo è tornato normale.
«Grazie, così va meglio. Ora possiamo essere amici, ma vorrei che, da amico, mi spiegassi perché voi pretendenti avete rischiato la vita comportandovi in un modo così aggressivo con me e con Odisseo. E non una sola volta, ma per anni e anni. Eppure vi avevano messi in guardia. I profeti avevano predetto la vostra triste sorte, lo stesso Zeus aveva mandato uccelli premonitori e tuoni che avrebbero dovuto intimorirvi.»
«Gli dèi volevano distruggerci» ha sussurrato in risposta Antinoo.
«È la solita scusa di chi agisce in malafede. Dimmi la verità, senza venirmi a parlare della mia straordinaria bellezza. Verso la fine di questa storia avevo ormai trentacinque anni, quando Odisseo è partito per Troia voi non eravate ancora nati, qualcuno forse aveva l’età di Telemaco o poco più. Potevo essere vostra madre. Voi farfugliavate frasi senza senso: che vi facevo tremare le ginocchia, che volevate fare l’amore con me e avere dei figli, anche se sapevate benissimo che ormai ero troppo vecchia.»
«Qualcosa, probabilmente, saresti riuscita ancora a spremere da uno o due di quei farabutti» ha replicato con cattiveria Antinoo, senza riuscire a trattenere un sorriso maligno.
«Vedo che cominci a essere meno vago» gli ho concesso «ma preferisco risposte dirette. Dunque: qual era il vostro vero scopo?»
«La caccia al tesoro, naturalmente» ha confessato. «Per non parlare del regno.» Questa volta ha avuto l’impudenza di ridere apertamente. «Altrimenti perché un uomo giovane dovrebbe voler sposare una vedova ricca e famosa? Si suppone che una vedova sia consumata dalla concupiscenza, soprattutto se il marito è scomparso o morto da tempo, come il tuo. Non sei mai stata una Elena, ma era un ostacolo sormontabile. Al buio, tante cose non si vedono. Tanto più che avevi vent’anni più di noi - saresti morta presto, magari con un po’ di aiuto e, forti della tua ricchezza, avremmo facilmente conquistato una giovane e bella principessa. Non hai mai pensato che spasimassimo d’amore per te, vero? Non sarai stata molto bella, ma l’intelligenza non ti è mai mancata.»
Avevo detto di preferire le risposte dirette, ma la verità non piace a nessuno quando è così poco lusinghiera.
«Ti ringrazio» ho replicato «dev’essere un sollievo poter esprimere con tanta franchezza i propri sentimenti. Puoi rimetterti la freccia, se vuoi. Voglio dirti anch’io, sinceramente, che provo un empito di gioia ogni volta che la vedo infilzata nel tuo collo avido e bugiardo.»
I pretendenti non si fecero avanti subito. Durante i primi nove o dieci anni di assenza, sapevamo bene dov’era Odisseo - era a Troia - ed eravamo anche certi che fosse vivo. No, l’assedio al palazzo ebbe inizio quando la speranza cominciò a vacillare e poi a sparire pian piano. Prima arrivarono in cinque, poi in dieci, poi in cinquanta - più erano e più altri si sentivano attratti, per paura di perdere quel festino ininterrotto e la lotteria del matrimonio. Era come quando gli avvoltoi scorgono dall’alto una mucca morta: cala a terra il primo, poi un secondo finché gli altri rapaci arrivano a dividersi la carcassa. Ogni giorno venivano a palazzo, si dichiaravano miei ospiti e m’imponevano la loro presenza. Poi, approfittando della mia debolezza e della mancanza di un uomo accanto, prendevano il bestiame, e loro stessi lo macellavano, ne arrostivano le carni con l’aiuto dei servi, davano ordini alle ancelle e le pizzicavano sul sedere come se fossero a casa loro. Ero sbalordita dalla quantità di carne che riuscivano a ingurgitare - si rimpinzavano come se avessero sempre la pancia vuota, era una gara a chi mangiava di più. Speravano che la mia capacità di resistenza si lasciasse indebolire dalla paura di diventare povera e perciò montagne di carne, colline di pane e fiumi di vino sparivano nelle loro gole come se la terra si fosse aperta e inghiottisse tutto: non avrebbero smesso finché non avessi scelto uno di loro per marito, e alternavano a ubriacature e baldorie discorsi assurdi sulla mia ammaliante bellezza e la mia straordinaria saggezza.
Non posso negare che in parte tutto ciò mi lusingasse. Chiunque ama sentirsi lodare, anche se non crede alle parole proferite. Cercavo di assistere a queste buffonate come a uno spettacolo teatrale. Quali nuovi paragoni avrebbero inventato? Chi avrebbe finto, nel modo più convincente, di cadere in deliquio nel vedermi apparire? A volte entravo nella sala dove si svolgevano i loro festini - accompagnata da due ancelle - solo per vedere fino a che punto riuscivano a superarsi. Anfinomo era il più galante, anche se non eccelleva fisicamente. Confesso di essermi chiesta almeno una volta chi avrei scelto, se fossi arrivata a tanto.
Le ancelle mi raccontavano le facezie che i pretendenti si scambiavano alle mie spalle. Era facile per le ragazze tendere l’orecchio, mentre erano costrette a servire le carni e il vino. Che cosa dicevano di me i pretendenti, quando non li sentivo? Ecco qualche esempio.
Primo premio, una settimana nel letto di Penelope, secondo premio, due settimane nel letto di Penelope. Se chiudi gli occhi sono tutte uguali - pensa che sia Elena e la lancia ti diventerà di bronzo! Quando prenderà una decisione, la vecchia cagna? Uccidiamo il figlio, leviamolo di torno finché è giovane, comincia a darmi sui nervi quel piccolo bastardo. Perché uno di noi non prende la vacca e scappa? No, non sarebbe onesto. Conoscete i patti: il fortunato donerà agli altri un’onorevole parte di ciò che ha vinto. Questo è l’accordo. Giusto? Siamo tutti coinvolti, o la va o la spacca. Se va, lei muore, perché vincere significa doverla soddisfare fino alla morte, ah ah! Mi chiedevo, qualche volta, se le ancelle non inventassero, almeno in parte, le frasi che mi riferivano, o perché sovreccitate dalla situazione o solo per tormentarmi. Avevo l’impressione che ci provassero gusto, soprattutto se mi scioglievo in lacrime e pregavo Atena di riportarmi Odisseo o di porre fine alle mie sofferenze. Allora si mettevano a piangere, con abbondanti lacrime e lamenti, e mi portavano da bere qualcosa che mi consolasse, così da calmare anche se stesse. Euriclea era particolarmente scrupolosa nel riferirmi quei pettegolezzi, veri o inventati che fossero: forse voleva agguerrirmi contro i pretendenti e le loro ardenti richieste, perché rimanessi una moglie fedele fino all’ultimo respiro. Era la più appassionata sostenitrice di Odisseo.
Che cosa potevo fare per tenere a freno quei nobili, giovani delinquenti? Avevano l’età dell’arroganza, erano inutili gli appelli alla generosità, i tentativi di farli ragionare, le minacce. Nessuno era disposto a cedere per paura dello scherno o del disprezzo degli altri. Ed era inutile protestare con i genitori, probabilmente compiaciuti del loro modo di comportarsi. Telemaco era troppo giovane per contrastarli e, in ogni caso, era solo di fronte a Centododici, o centootto, o centoventi uomini - troppi anche per tenere il conto. Coloro che sarebbero potuti intervenire per lealtà verso Odisseo erano partiti per Troia con lui e i pochi rimasti non osavano aprir bocca, bastava la forza numerica dell’avversario a dissuaderli. Sapevo ormai che non sarebbe servito a niente cercare di scacciare i miei indesiderati pretendenti, o sbarrare le porte del palazzo per non farli entrare, non avrei fatto altro che incattivirli e spingerli a prendere con la forza quello che si aspettavano di ottenere con l’insistenza. Ma ero la figlia di una naiade e non avevo dimenticato il consiglio di mia madre. Fai come l’acqua. Non opporti a loro. Quando cercano di afferrarti, prova a scivolargli tra le dita. Ondeggiagli intorno.
Per questa ragione fingevo di non disprezzare, almeno in teoria, il loro corteggiamento. Mi spingevo fino a incoraggiare l’uno o l’altro, con qualche messaggio segreto. Ma continuavo a ripetermi che, prima di scegliere uno di loro, avrei dovuto convincermi che Odisseo non sarebbe tornato mai più.

traduzione di G. Aurelio Privitera

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