2 luglio 2018

da “La cucina degli ingredienti magici” - Jael Mc Henry

da “La cucina degli ingredienti magici” -  Jael Mc Henry
(…)
Per evitare che i volti dei famigliari in lutto mi turbino il sonno, mi perdo nel sapore della Sriracha, cercando di ricordarne ogni sfumatura. Il bruciore del chili, piccante ma rotondo. La leggera nota di aglio nel retrogusto. La particolare sensazione di dolore, non come una puntura di spillo o una ferita di coltello, meno appuntito e più intenso, una gomma per cancellare premuta forte contro la lingua come un marchio a fuoco per il bestiame. Un sapore doloroso ma piacevole. Un enigma di composti chimici, non di emozioni umane. L’unico tipo di enigma che so di poter risolvere.
Al mattino sto pensando al progetto di Amanda di farmi andare a vivere con lei. Mi chiedo cosa sarebbe meglio. Ero così fissata con l’idea di restare in questa casa e di non venderla che è difficile cambiare marcia. Ma sarebbe così terribile? La mamma non ha finito la frase. È molto importante che tu non permetta ad Amanda di… di convincermi a lasciare la casa, forse? Amanda farà del male a qualcuno? A me? A se stessa? Le possibilità sono talmente tante, mi sento bloccata.
Seduta al tavolo da pranzo, Amanda alza gli occhi dal suo portatile e dice:
«Ehi, stavo giusto pensando a te. Vuoi qualcosa per colazione?»
«Non subito.»
«Parker dorme ancora. E Shannon, come sai, è insieme al tuo gatto. È ossessionata da quell’animale. Ma, in tutta onestà, va bene così. Dobbiamo parlare.»
«Ah sì?»
«Ho rimandato perché eravamo entrambe troppo turbate. Ma adesso non lo trovo più giusto. Credo che bisogna affrontarlo.»
«Affrontare cosa?»
«Il tuo problema.»
Un rumore lieve dietro di me. Mi giro e vedo Midnight che scende le scale. La sua coda bianca si agita nell’aria, da sinistra a destra e da destra a sinistra, lenta, dignitosa. Cerco di non farmi distrarre da quel movimento ipnotico.
«Te l’ho detto, non ho nessun problema.»
«Credi che la gente normale si chiuda nei ripostigli ai funerali dei genitori? Credi che la gente normale mormori con gli occhi incollati alle scarpe invece di guardare gli altri negli occhi? Credi che la gente normale urli a pieni polmoni appena qualcuno gli sfiora un braccio in pubblico?»
«Non lo faccio sempre. Non mi capita quasi mai.»
«Ma a volte ti capita. La mamma faceva del suo meglio con te, lo so. Ma credo che avrebbe potuto aiutarti di più se avesse saputo cos’hai.»
«Una personalità.»
Amanda dice:
«Ginny, non è più divertente».
«Non voglio che sia divertente.»
Dei piccoli passi saltellanti, attutiti dalla moquette, seguono Midnight giù dalle scale. Vedo Shannon accovacciata sul gradino più basso che allunga la mano verso la coda soffice e bianca che le sfugge di un soffio.
Amanda dice:
«Ginny mi stai ascoltando?»
«Scusa», dico distrattamente. Sto concentrando tutta la mia attenzione sul gatto, sulla bambina e sullo sforzo di non dire a mia sorella di chiudere il becco.
«Ho detto… credo… Ginny, secondo me ti serve più aiuto.»
«Ho Gert.»
«Non quel tipo di aiuto.»
Questo lo so. Midnight si ferma ai piedi delle scale a leccarsi una zampa come se fosse la cosa più urgente del mondo. Shannon si allunga un centimetro di troppo e si ribalta. Non fa in tempo a mettere le mani davanti e batte la testa sul legno duro del parquet. Le sue urla riempiono immediatamente la casa.
Amanda è già in piedi.
«Shannon, tesoro, non è niente, va tutto bene.»
La prende in braccio.
«Su, piccola. È tutto a posto.»
Accarezza la testa a Shannon mentre singhiozza, si gira verso di me e dice:
«Non te la cavi così. Ascolta. È una cosa semplice. Voglio solo che tu veda un dottore. Che ti faccia fare una diagnosi, e dare una cura. Potrebbe rendere le cose più semplici».
Le urla di Shannon si alzano e si abbassano, passando da un’ottava all’altra. Per quanto ne so, potrebbero aumentare ancora. Amanda smette di accarezzarla e le tiene soltanto la mano ferma sulla testa, col palmo piatto. Midnight scappa via.
«No», dico ad Amanda. «Niente dottore.»
«Un giorno o l’altro ti succederà qualcosa. Ecco perché mi preoccupo. Hai quasi dato fuoco alla casa il giorno del funerale. Fai entrare estranei in cucina. Sparisci per ore con la donna delle pulizie. Voglio dire, Ginny, non è normale.»
«Solo uno.»
«Un dottore?»
«Un estraneo.»
«Ti farai del male», dice.
La fisso alla gola.
«Questi sono i fatti. Shannon, silenzio, amore, va tutto bene, okay?»
Shannon dice qualcosa piangendo ma non riesco a capire cosa. Parla all’orecchio della madre.
«Tieni, Ginny, prova tu», dice Amanda. «Vuole te.»
Allungo le mani e Shannon viene in braccio a me. È pesante. La testa le cade subito sulla mia spalla come se ci fosse una calamita. La mia mano si alza per stringerla senza alcuna sollecitazione da parte del cervello. Guardo Amanda. Mi sta fissando a braccia conserte. So cosa significa. La spalla della sua camicetta ha un colore diverso dal resto, è bagnata di lacrime.
(…)

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