3 luglio 2018

Le minoranze – Ferenc Gyozo

Ai Weiwei, Law of the Journey
Le minoranze – Ferenc Gyozo

Si guardo intorno e non la trovò

Vivo oltre i miei confini, devo servire
Un impero il cui popolo mi è del tutto estraneo.
Non intendo la lingua e le consuetudini
Mi ripugnano. La mia formazione non mi lega alle sue tradizioni.

Le sue tradizioni da tempo sono sprofondate nell’oblio. Non onoro
I suoi dei, non celebro le sue festività. il suo codice
E’ un cimitero d’imposizioni. Non riesco a orientarmi
Nel groviglio dei suoi regolamenti. Il denaro

Da mezzo di pagamento è divenuto un valore in sé. La virtù è scaduta
A stupida ossessione. Questa è la mia residenza dichiarata,
Ma non riesco a ricordare neppure scavando nella memoria

Come sono capitato in questo paese.

Non fuggii su un camion nascosto sotto vestiti usati
Né mi hanno scoperto a sconfinare, non c’è luogo
Dove potermi rimandare, anche se nulla mi lega a questo posto;
Il mio passaporto è valido, i miei documenti in ordine.

Posso andarmene, se lo desidero, per respirare un’aria
Più libera, magari potranno anche considerarmi utile
e accogliermi in un paese come questo o in un paese
Appena diverso, potrei avere una doppia nazionalità

E non ritornare, se non per una visita.
Ma ahimè, non potrò più varcare le mie frontiere, mai più
Potrò vedere la terra della mia patria
Mai configurata, da dove sono partito e dove mi dirigo.

Da allora mi è preclusa per sempre; la mia immaginazione
Non raffigura il suo sole, le sue stelle, attraverso
Il velo di nebbia non scorgo i suoi paesaggi baluginanti
Dal verde all’azzurro, il selciato delle sue città turrite.

Né so in quale zona si situi, se ha
Abitanti, né so se mi possano intendere:
La mia lingua madre non sarà mai la loro lingua morta,
Anche i miei sogni inviamo messaggi in parole

Sconosciute. Se si spegnerà l’oscurità nel mio mondo cieco
E in qualche modo mi trascenderò, neppure dio mi identificherà
Dalla foto tessera dei miei documenti stropicciati
Rinvenuti nelle tasche fradice dei miei pantaloni.

E mentre le mie camicie si asciugano al vento sulla corda
tesa davanti alla finestra senza vetro, giaccio nudo
Sul materasso elastico del letto di ferro a un piano
E osservo le cicche sputacchiate sul soffitto.

Traduzione dall’ungherese di Tomaso Kemeny
Canti per i senza patria. Poesia n. 319, Ottobre 2016

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