dipinto di Kenne Gregoire
Enzo Bettiza
S’avvertiva in tutto questo qualcosa di omerico. Sognare e poetare delcibo, immaginarlo e raccontarlo in ogni dettaglio, fermentarlo a lungo nella parola prima di gustarlo nel piatto, poi esaltarlo o criticarlo dopo averlo mangiato, era in Dalmazia uno dei preferiti passatempi pre e postprandiali. Lo stimolo gastronomico era difatti l’esca che attirava e aizzava i desideri più incontinenti di certi leggendari buongustai spalatini, famosi, come mio padre, per la loro devozione religiosa alla buona tavola.
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