1 settembre 2018

da “Elogio della matrigna” – Mario Vargas Llosa

Francois Boucher - The toilet of Venus. Olio su tela, 1751 , cm 108x85, Metropolitan Museum Of art New York 
da “Elogio della matrigna” – Mario Vargas Llosa
(…)
Il ragazzino era balzato su ed era già in piedi sul letto. Le sorrideva, con le braccia aperte. Mentre avanzava verso di lui, parimenti sorridente, donna Lucrecia colse - indovinò? - negli occhi del figliastro uno sguardo che passava dall’allegria allo sconcerto e che si fissava, attonito, sul suo petto. ”Dio mio, sono quasi nuda” pensò. ”Come ho potuto dimenticare la vestaglia, stupida che sono? Che spettacolo per il povero bimbo!” Aveva bevuto più bicchieri del dovuto?
Ma già Alfonsito l’abbracciava. «Buon compleanno, matrigna!» La sua voce, fresca e spensierata, ringiovaniva la notte. Donna Lucrecia si sentì contro il corpo la svelta sagoma dagli ossicini fragili e pensò a un uccelletto. Le passò per la testa che, se l’avesse serrato con troppo slancio, il ragazzino si sarebbe spezzato come un giunco. Così, lui in piedi sul letto, erano della stessa altezza. Le aveva intrecciato le sottili braccia intorno al collo e la baciava amorevolmente sulla guancia. Donna Lucrecia lo abbracciò anche lei e una delle sue mani, scivolando sotto la giacca del pigiama azzurro mare, dagli orli rossi, gli passò lungo la schiena e l’accarezzò, sentendo sulla punta delle dita il delicato digradare della spina dorsale. «Ti voglio tanto bene, matrigna» sussurrò il vocino accanto al suo orecchio. Donna Lucrecia sentì due brevi labbra fermarsi davanti al lobo inferiore dell’orecchio, riscaldarlo col loro fiato, baciarlo e mordicchiarlo, per gioco. Le sembrò che, nel momento stesso in cui la vezzeggiava, Alfonsito ridesse. Il petto le traboccava di emozione. E pensare che le sue amiche le avevano vaticinato che quel figliastro sarebbe stato l’ostacolo maggiore, che per colpa sua non sarebbe mai stata felice con Rigoberto. Commossa, lo baciò anche lei sulle guance, sulla fronte, sugli scarruffati capelli, mentre, vagamente, come venuta da lontano, senza che se ne accorgesse bene, una sensazione diversa stava penetrandola da un confine all’altro del suo corpo, concentrandosi soprattutto in quelle parti - i seni, il ventre, il dorso delle cosce, il collo, le spalle, le guance - esposte al contatto del ragazzino. «Davvero mi vuoi tanto bene?» domandò, cercando di scostarsi. Ma Alfonsito non la lasciava. E, al contrario, mentre le rispondeva, cantando: «Tantissimo, matrigna, più che a tutti», si aggrappò a lei. Poi, le sue manine la presero per le tempiee le spinsero indietro il capo. Donna Lucrecia si sentì becchettare sulla fronte, sugli occhi, sulle ciglia, sulla guancia, sul mento… Quando le sottili labbra sfiorarono le sue, strinse i denti, confusa. Fonchito capiva quello che stava facendo? Doveva scostarlo con una spinta? Ma no, no, come poteva esserci la minima malizia nello svolazzare salterino di quelle labbra discole che due, tre volte, errando sulla geografia del viso, si posarono per un attimo sulle sue, premendole con avidità?
«Bravo, e ora a nanna» disse, infine, sottraendosi all’abbraccio del ragazzino. Si sforzò per apparire più disinvolta di quanto non fosse. «Altrimenti, non ti sveglierai in tempo per la scuola, bimbo mio.»
Il ragazzino si infilò nel letto, annuendo. La guardava gaio, con le guance arrossate e un’espressione di rapimento. Quale malizia poteva esserci in lui? Quel faccino limpido, gli occhi rallegrati, il piccolo corpo che si avvolgeva e si contraeva fra le lenzuola, non erano la personificazione dell’innocenza? Sei tu a pensar male, Lucrecia! Lo rimboccò, gli sistemò il guanciale, lo baciò sui capelli e spense la luce della lampada. Mentre usciva dalla camera, lo udì trillare:
«Otterrò il primo posto e te lo regalerò, matrigna!».
«Promesso, Fonchito?»
«Parola d’onore!»
(…)
Traduzione di Angelo Morino
Rizzoli Libri S.p.A., Milano 1990

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