da Atlante Occidentale - Daniele Del Giudice
Poi
cominciò l’ultima parte dei fuochi, con una salva di granate che
scoppiarono a una quota più alta, con più profondità di dimensioni, più
molteplicità di dimensioni, più intense di luce, più sonore nel botto;
granate a serpentelli che tracciavano nel buio ellissi luminose, e del
resto in geometria anche l’ellisse ha i suoi fuochi, granate raggianti
che esplodendo striavano il cielo di linee parallele
convergenti o divergenti a partire dalla concentrazione di un fuoco,
granate a pioggia con un’infinità di punti luminosi ciascuno secondo la
propria traiettoria, granate a paracadute le cui particelle luminose
decadevano in parabole lente e sparivano, granate a girandolette
deflagranti in vortici luminosi e curve e spirali perfettamente
simmetriche nello spazio, pura forma, e interi lembi di spazio e di buio
che si inarcavano in enfiature di luce o si piegavano in voragini
oscure, secondo altre geometrie più complesse, comprendenti nella
simmetria anche il tempo, fino alla perfezione circolare delle granate a
sfera che cominciarono a esplodere in successione, enormi globi di
stelle gialle che generavano enormi globi di stelle verdi che generavano
enormi globi di stelle violette, o stelline rosse come il rosso verso
cui nello spettro si sposta la luce delle galassie in allontanamento,
probabilmente infinito, se l’universo è aperto, o globi di stelline
azzurre come l’azzurro verso cui nello spettro si sposterà la luce delle
galassie, se l’universo sarà chiuso e quelle rimbalzando contro il
bordo estremo torneranno indietro; e ogni globo prima ancora di
spegnersi ne originava un altro per via delle micce che nel cartoccio
raccordavano le diverse granate come un cordone ombelicale, ogni globo
si proiettava velocissimo in avanti e in giù e poi frenava di colpo,
totalmente avvolgente, come se volesse risucchiare la città e il lago e
le barche e il pontone e la chiatta dove in un riverbero acido si
vedevano gli omini dei fuochi correre ai comandi, e perfino i due nel
giardino, un po’ protesi nelle poltrone, e col viso all’insù
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