24 marzo 2020

da La ciociara – Alberto Moravia

da La ciociara – Alberto Moravia

Il sole era andato via e la campagna, con quei sugheri storti e rossi che sembravano soffrire di essere storti e rossi, si era fatta tutta di un colore solo, smorto e opaco, senza luce. C'era una solitudine completa: e benché il fracasso del motore non cessasse un istante, si indovinava che c'era un gran silenzio senza più alcun canto di uccelli e di cicale. Rosetta, adesso, sonnecchiava; Rosario fumava, pur guidando; e io, con gli occhi, ora seguivo i cippi bianchi dei chilometri e ora affondavo lo sguardo indietro indietro nei sughereti senza vedere niente né nessuno. Poi la strada fece una svolta e io che stavo guardando ai sughereti, fui ad un tratto quasi scagliata con la fronte contro il cristallo del parabrezza. Come ricaddi indietro, vidi che la strada era sbarrata per tutta la sua lunghezza da un palo telegrafico abbattuto; nello stesso tempo tre uomini uscivano da dietro i sugheri e si facevano avanti agitando le mani come per accennare che l'autocarro si fermasse. Rosetta disse svegliandosi: "Che c'è?" ma nessuno le rispose perché io non capivo niente e Rosario, intanto, era già disceso dall'autocarro e si avviava con decisione verso i tre uomini. Questi, me li ricordo benissimo, e li riconoscerei anche oggi tra mille: erano vestiti di stracci, come tutti quanti allora in quei giorni, uno era piccolo, biondo con le spalle larghe e il vestito di velluto marrone; il secondo era alto, di mezza età, magro scannato, con la faccia tesa e magra, gli occhi incavati e i capelli pepe e sale in disordine; il terzo era un giovanotto del tipo più comune, bruno, la faccia larga, i capelli neri, non tanto diverso da Rosario. Quest'ultimo, scendendo dal camion, aveva fatto un gesto che avevo notato; si era tolto rapidamente dalla tasca un involto e l'aveva ficcato dentro il cruscotto. Io capii che quell'involto conteneva del denaro e capii, ad un tratto, allora, che quei tre uomini erano tre ladri. Poi tutto avvenne in un momento mentre Rosetta ed io guardavamo immobili e paralizzate dallo stupore, attraverso il cristallo del parabrezza che era tutto sporco con insetti schiacciati, polvere e rigature di pioggia e pareva aggiungere, alla luce già smorzata del cielo rannuvolato, non so che malinconia e incertezza. Attraverso questo vetro, noi vedemmo, dunque, Rosario andare incontro a quei tre, con piglio deciso, perché era coraggioso; e quei tre, alla loro volta, affrontarlo, minacciosi. Rosario, lo vedevo di schiena e vedevo invece, di faccia il biondo che gli parlava: aveva una bocca rossa e un po' storta con qualche cosa come uno sfogo o un pedicello all'angolo della bocca. Insomma il biondo parlò e Rosario rispose; il biondo, parlò ancora e, alla seconda risposta di Rosario ad un tratto, alzò la mano e acchiappò per il bavero Rosario, proprio sotto la gola. Rosario fece come un movimento con le spalle, prima a destra e poi a sinistra, liberandosi e contemporaneamente lo vidi, con chiarezza, andare con la mano alla tasca di dietro dei pantaloni. Subito sentii un primo sparo e poi altri due e credetti che fosse stato Rosario a sparare. Invece, lui si voltò e fece come per dirigersi verso il camion, ma a testa bassa, stranamente incerto, quindi, d'improvviso, cadde in ginocchio, sostenendosi con le mani puntate a terra, stette un momento così a testa bassa, come riflettendo, e alla fine si rovesciò di fianco. Quei tre, senza curarsi di lui vennero incontro al camion.
Il biondino, che tuttora stringeva la rivoltella in mano, si aggrappò allo sportello del camion e si affacciò nella cabina dicendo ansimante: "Voi due scendete, subito, scendete." Nello stesso tempo agitava la rivoltella, non tanto per minacciarci, forse, quanto per farci capire che dovevamo scendere. Intanto gli altri due stavano togliendo il palo dalla strada. Capii che dovevamo ubbidire e dissi a Rosetta: "Vieni, scendiamo." E feci per aprire lo sportello. Ma il biondino che si era già quasi infilato nella cabina, d'improvviso si sporse di fuori guardando alla strada e io vidi che gli altri due gli facevano dei gesti come per avvertirlo di qualche cosa di nuovo che stava succedendo. Lui diede in una bestemmia, saltò giù dal camion e raggiunse i suoi due compagni; e poi li vidi scappare tutti e tre, a perdifiato, per il sughereto e ben presto, correndo a zig zag tra un tronco e l'altro, scomparire. Per un momento non ci fu più niente né nessuno, salvo il palo telegrafico tirato da un lato e il corpo di Rosario immobile nel mezzo della strada. Dissi a Rosetta: "E ora che facciamo?" e quasi nello stesso tempo, ecco sbucarci accanto una piccola macchina scoperta con due ufficiali inglesi e un soldato come autista. La macchina rallentò perché il corpo di Rosario sbarrava la strada, non tanto però che, rasentando il fossato, non si potesse oltrepassarlo; i due ufficiali si voltarono a guardare il corpo e quindi noi due; poi vidi uno di loro fare all'autista un gesto, come per dire: "Chi more more, avanti." E la macchina subito ripartì, contornò di stretta misura il corpo di Rosario, ripigliò la corsa e ben presto scomparve in fondo alla strada dietro la voltata. Allora, non so come, mi ricordai del denaro che Rosario aveva nascosto nel cruscotto, stesi la mano, presi l'involto e me lo cacciai in seno. Rosetta mi vide fare il gesto e mi lanciò uno sguardo che mi parve quasi di riprovazione. D'improvviso ci fu un cigolio forte di freni e un camion si fermò di botto accanto al nostro.
Era un italiano questa volta, un uomo piccolo con la testa grossa e calvo, la faccia pallida e tutta sudata, gli occhi tondi a fior di pelle e le basette lunghe che gli scendevano fino in mezzo alle guance. Aveva un'espressione spaventata e malcontenta ma non cattiva, come chi faccia per dovere un atto di coraggio e al tempo stesso maledica dentro di sé la propria sorte che ce l'ha portato, suo malgrado, ad essere coraggioso. Domandò in fretta: "Ma che è successo?" senza muoversi dal camion, la mano sulla leva del cambio. Dissi: "Ci hanno fermato e hanno ammazzato quel giovanotto e poi sono scappati. Volevano rubare. E ora noi due che siamo due sfollate..." Lui m'interruppe: "Dove sono scappati?" Io indicai in direzione del sughereto; lui roteò da quella parte gli occhi spaventati, poi disse: "Per l'amor di Dio, presto salite nel mio camion se volete venire a Roma, ma presto, fate presto, per l'amor di Dio." Capii che se esitavo ancora un momento lui sarebbe ripartito e così mi affrettai a scendere, tirandomi dietro Rosetta per la mano. Ma lui, allora, ci gridò con voce afflitta: "Spostate quel corpo, spostatelo, se no come faccio a passare?" E io guardai e vidi, infatti, che il suo autocarro, tanto più largo della macchinetta degli ufficiali inglesi, non aveva spazio sufficiente per passare tra il fossato e il corpo di Rosario. "Fate presto, per l'amor di Dio," si raccomandò ancora lui con quella sua voce lagnosa; io allora mi riscossi e dissi a Rosetta: "Aiutami," e andai direttamente al corpo di Rosario che stava disteso su un fianco, con un braccio alzato sopra la testa come per aggrapparsi a qualche cosa che non aveva avuto il tempo di afferrare. Mi chinai e acchiappai un piede, Rosetta si chinò anche lei e acchiappò l'altro; e così, a fatica, perché pesava non si sa quanto, lo trascinammo da un lato, verso il fossato, con le spalle e la testa a terra e le braccia lunghe distese, che seguivano senza vita, strisciando sull'asfalto. Rosetta fu la prima a lasciare andare il piede, e io subito dopo feci come lei; ma poi mi chinai in fretta sul morto, con gesto istintivo quasi temendo di avere a scoprire che era ancora vivo: in realtà avevo l'involto del suo denaro in seno e mi premeva conservarlo perché, nelle nostre condizioni, ci faceva comodo assai; e così volevo assicurarmi che lui fosse morto davvero. Ma era proprio morto, lo capii dagli occhi che erano rimasti aperti e guardavano non so dove, lucidi e immobili. Lo confesso, in quel frangente mi comportai da persona interessata e vile, proprio come si sarebbe comportata Concetta, secondo la sua convinzione che la "guerra era la guerra". Avevo portato via il denaro al morto; avevo temuto, per via del denaro, che non fosse morto ma vivo; ma, una volta constatato che era morto davvero, volli bilanciare quel mio brutto timore con un atto di fede che non mi costava niente: rapidamente, mentre l'uomo del camion mi gridava, impaziente: "Sta' tranquilla, è morto, non c'è più niente da fare," mi chinai e feci con l'indice e il medio un segno della Croce sul petto a Rosario, là dove la sua giubba nera appariva chiazzata da una larga macchia scura. Sentii, in questo gesto, che le mie dita sfioravano la stoffa della giubba e che questa stoffa era bagnata; quindi, come corsi insieme con Rosetta verso il camion, mi guardai furtivamente le dita con cui avevo fatto il segno della Croce e vidi che i polpastrelli
erano rossi di sangue vivo, appena sgorgato. Provai d'improvviso, alla vista di questo sangue, un rimorso oscuro, quasi un orrore di me stessa, per aver fatto quell'ipocrito segno della Croce sul corpo dell'uomo che avevo allora allora derubato; e sperai che Rosetta non se ne fosse accorta. Ma, come mi asciugai le dita alla gonna, vidi che lei mi guardava e capii che mi aveva visto. Intanto eravamo salite ambedue accanto all'uomo. Il camion partì.

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