31 marzo 2020

da La biblioteca di Babele - Jorge Luis Borges.

Roma, Musei Vaticani
da La biblioteca di Babele - Jorge Luis Borges.

Secoli e secoli di idealismo non hanno mancato di influire sulla realtà. Non è infrequente, nelle regioni più antiche di Tlön, la duplicazione degli oggetti perduti. Due persone cercano una matita; la prima la trova, e non dice nulla; la seconda trova una seconda matita, non meno reale, ma meno attagliata alla sua aspettativa. Questi oggetti secondari si chiamano hrönir, e sono, sebbene di forma sgraziata, un poco più lunghi. Fino a non molto tempo fai i hrönir furono creature casuali della dimenticanza e della distrazione. Alla loro produzione metodica - sembra impossibile, ma così afferma l’“undicesimo volume” - non s’è giunti che da cento anni. I primi tentativi furono sterili. Il modus operandi merita d’essere ricordato. I1 direttore di una delle carceri dello stato comunicò ai detenuti che nell’antico letto d’un fiume v’erano certi sepolcri, e promise la libertà a chi facesse un ritrovamento importante. Durante i mesi che precedettero gli scavi, furono mostrate ai detenuti fotografie di ciò che dovevano ritrovare. Questo primo tentativo mostrò che la speranza e l’avidità possono costituire una inibizione; in una settimana di lavoro con la pala e con il piccone, non si riuscì ad esumare altro hrön che una ruota rugginita, di data anteriore all’esperimento. La cosa fu mantenuta segreta e fu poi ripetuta in quattro istituti di educazione. In tre l’insuccesso fu quasi completo, nel quarto (il cui direttore morì casualmente durante i primi scavi) gli scolari esumarono - o produssero - una maschera d’oro, una spada arcaica, due o tre anfore di coccio, e il torso verdastro e mutilato d’un re, recante sul petto un’iscrizione che non s’è ancora potuta decifrare. Si scoprì in tal modo come la presenza di testimoni, a conoscenza del carattere sperimentale della ricerca, costituisca una controindicazione… Le investigazioni in massa producono oggetti contraddittori; oggi si preferiscono i lavori individuali e quasi improvvisati. La produzione metodica (dice l’“undicesimo volume”) ha reso servizi prodigiosi agli archeologi. Essa ha permesso di interrogare e perfino di modificare il passato, divenuto non meno plastico e docile dell’avvenire. Fatto curioso: i hrönir di secondo e di terzo grado,- i hrönir derivati da un altro hrön; quelli derivati dal hrön di un hrön - esagerano le aberrazioni del hrön iniziale; quelli di quinto ne sono quasi privi; quelli di nono si confondono con quelli di secondo; quelli di undicesimo hanno una purezza di linee non posseduta neppure dall’originale. Il processo è periodico: il hrön di dodicesimo grado comincia già di nuovo a decadere. Più strano e più puro di ogni hrön è talvolta l’ur la cosa prodotta per suggestione, l’oggetto evocato dalla speranza. La gran maschera d’oro cui ho accennato ne è un illustre esempio.
Le cose, su Tlön, si duplicano; ma tendono anche a cancellarsi e a perdere i dettagli quando la gente le dimentichi. È classico l’esempio di un’antica soglia, che perdurò finché un mendicante venne a visitarla, e che alla morte di colui fu perduta di vista. Talvolta pochi uccelli, un cavallo, salvarono le rovine di un anfiteatro.
Salto Oriental, 1940

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