27 aprile 2018

da “Il talento del cuoco” – Martin Suter

opera di Eric Bowman Glazing
da “Il talento del cuoco” – Martin Suter

(…)
Nel mese di Vaikasi non c’erano molte feste religiose. Quanto alle feste private, non aveva ricevuto ancora nessun incarico. La ricerca del lavoro procedeva in modo deprimente, sembrava che nemmeno gli ospedali e le mense aziendali avessero interesse per un cuoco come Maravan.
Se avesse un lavoro fisso, forse non avrebbe sofferto tanto per amore. non sarebbe rimasto tutto il giorno in casa a sonnecchiare, solo e straniero.
non erano semplici le pene di cuore. Quello con Andrea era stato il primo rapporto personale con qualcuno del luogo. non aveva amicizie, né con svizzeri né con tamil. Ora cominciava a sentirne la mancanza.
Con questo stato d’animo sedeva sui cuscini usati quella sera insieme ad Andrea e beveva il tè. L’aria era tiepida, quasi estiva, la finestra aperta. da fuori giungevano i suoni della bella stagione: musica, grida di bambini che giocavano, risate di adolescenti fermi sulla porta di casa e latrati.
Qualcuno suonò al campanello. Andò ad aprire e si trovò davanti Andrea.

Aveva dovuto fare uno sforzo notevole. All’inizio era sicura di non volerlo più vedere. mai più. Ciò che era successo quella notte l’aveva scossa profondamente, Continuava a chiedersi com’era potuto accadere.
Il fatto che fosse stato licenziato la mattina seguente aveva semplificato le cose, le aveva reso più facile evitarlo. sapeva di essere la vera causa del suo licenziamento e naturalmente ne era dispiaciuta, ma sentiva di averlo risarcito almeno in parte con il proprio gesto di solidarietà. dopo quella scenata era stata licenziata in tronco, proprio come lui.
Purtroppo la domanda “Com’è stato possibile?” non le dava tregua. in un modo o nell’altro doveva essere stato il cibo. Per quanto improbabile, era la spiegazione che preferiva perché non la costringeva a rivedere la propria vita e le proprie convinzioni.
più tentava di rivivere mentalmente quella serata e di ricostruire in modo dettagliato le sensazioni provate, più si convinceva di aver agito sotto l’effetto di qualcosa.
Aveva comunque avuto un ruolo attivo in quello che era successo. Non era stata né drogata né costretta. Al contrario, aveva preso l’iniziativa; lui si era adeguato ben volentieri, ma era stata lei a fare il primo passo. Per una sera e una notte tutti i suoi sensi si erano accesi come non mai. non era facile ammetterlo, ma l’ipotesi di una reazione innescata da qualcosa che non poteva controllare rendeva tutto un po’ meno complicato.
Approfittando di una sera di maggio insolitamente mite aveva preso il tram per andare da lui. Si sarebbe presentata senza avvisare, in modo da coglierlo di sorpresa. Doveva essere una visita il più possibile breve e ufficiale. C’era anche la possibilità di non trovarlo, magari non era in casa. Sarebbe stato il destino a decidere se dovevano incontrarsi o meno.
Il giornale con cui si stava schermando – come quasi sempre durante i viaggi in trama – diceva che il governo, dietro pressioni degli Stati Uniti, aveva segretamente ordinato la distruzione di certi documenti. Si trattava di progetti riguardanti centrifughe e gas che potevano essere utilizzate per costruire bombe atomiche. Le informazioni erano state acquisite durante un sensazionale caso di contrabbando nucleare.
Andrea lesse l’articolo senza particolare interesse e come al solito guardò fuori dal finestrino, sbirciando attraverso gli orrendi graffiti che coprivano il vetro pieno di rigature. non c’era molto movimento per strada. Le ore di traffico più intenso erano passate, il flusso in uscita non era ancora cominciato. anche il tram era semideserto. Di fronte a lei era seduta un’adolescente sovrappeso che districava con pazienza il cavo degli auricolari dell’iPod.
Davanti al novantaquattro di Theodorstrasse c’erano un gruppo di giovani tamil di seconda generazione. Ridevano e chiacchieravano in dialetto. Vedendola arrivare abbassarono il tono e cambiarono lingua, poi si spostarono per farla passare e le rivolsero un saluto garbato. non appena uscì dallo loro vista imboccando le scale, Andrea le sentì tornare al tedesco svizzero.
L’aria sapeva di cipolle soffritte e spezie. Si fermò sul primo pianerottolo, chiedendosi se non fosse meglio tornare indietro.
All’improvviso si aprì la porta di un appartamento e apparve una donna in sari. La signora fece un cenno di saluto col capo, Andrea ricambiò e fu costretta a proseguire. Un segno del destino.
Davanti alla porta di Marvan ebbe un altro momento di esitazione, poi premette il pulsante. Sentì il suono del campanello nell’appartamento. Nessun rumore di passi. Forse non è in casa, pensò speranzosa. Un attimo dopo la chiave girò nella toppa ed eccolo sulla soglia.
Indossava una T-shirt bianca con segni di piegatura sulle maniche, un semplice sarong a righe rosse e blu e un paio di sandali. Sotto gli occhi spiccavano due ombre scure mai viste prima, nere-blu come la barba appena accennata.
Le labbra si piegarono in un sorriso. sembrava talmente felice che Andrea si pentì di non aver fatto dietro front sul primo pianerottolo. Capì che Maravan stava prendendo in considerazione l’idea di abbracciarla e lo anticipò tendendo la mano.
“Posso entrare?”.
Lui acconsentì prontamente. L’appartamento era proprio come lo ricordava: ben arredato e in ordine. Davanti all’altarino in soggiorno era accesa la solita lampada di terracotta. Come la volta precedente non c’era alcun sottofondo musicale, attraverso la finestra aperta giungevano i rumori della strada.
Sul tavolino erano posate una teiera e una tazza; dai cuscini sistemati sul pavimento si capiva che era stato seduto lì fino a poco prima. Maravan le offrì il posto di fronte al suo.
“Ti dispiace se mi siedo qui?”. Indicò la sedia davanti al PC.
“Fai pure” rispose lui con un’alzata di spalle. “Vuoi una tazza di tè?”.
“No, grazie. Non i fermerò molto. Volevo solo farti qualche domanda”.
Andrea si accomodò sulla sedia, mentre lui rimase in piedi. Era curato, snello, ben proporzionato. Un uomo di aspetto gradevole. Eppure le suscitava solo simpatia e benevolenza. Non riusciva a credere di esserci stata a letto.
“Non hai un’altra sedia?”.
“In cucina”.
“Perché non vai a prenderla?”.
“Non è educato mettersi allo stesso livello di una persona di riguardo”.
“Ma io non sono una persona di riguardo”.
“Per me sì”.
“Non scherziamo. Vai a prendere quella sedia”.
Per tutta risposta Maravan si sedette sul pavimento.
Lei scosse la testa e chiese: “Cos’hai messo nei piatti dell’altra sera?”.
“Vuoi conoscere gli ingredienti?”.
“Solo quelli che hanno scatenato una certa reazione”.
“Quale reazione?”.
Era un pessimo bugiardo. Aveva seri dubbi riguardo alla propria teoria, ma vedendo la sua espressione colpevole si convinse di aver fatto centro. “Sai benissimo a cosa mi riferisco”.
“Ho usato ingredienti tradizionali. non c’era niente di strano nei piatti che ti ho servito”.
“Non è vero, Maravan. so che stai mentendo. Conosco me stessa e il mio corpo. In quei piatti c’era sicuramente qualcosa di strano”.
Per un attimo lui rimase muto e immobile, poi scrollò ostinatamente il capo.
“Sono tutte ricette antichissime. ho solo modernizzato un po’ la preparazione. ti giuro che non ho aggiunto niente”.
Andrea si alzò e si mise a passeggiare tra l’altare e la finestra. Il sole stava tramontando, il cielo sopra le tegole era tinto di arancione, dalla strada non arrivava più nessuna voce.
Dando le spalle alla finestra, gli si parò dinanzi. “Alzati”.
Lui obbedì e abbassò le palpebre.
“Guardami”.
“Non è educato guardare una persona negli occhi”.
“Non è educato neanche mettere qualcosa nel piatto di una donna per portarsela a letto”.
A queste parole Maravan la guardò dritto negli occhi. “Non ho fatto niente del genere”.
“Ascolta, Maravan, ti svelo un segreto: io non vado a letto con gli uomini. non i piacciono. Non mi sono mai piaciuti. da giovane l’ho fatto due volte con un ragazzo perché pensavo fosse la cosa più normale. Ma dopo la seconda volta ero già sicura che non l’avrei più rifatto”.
Fece una pausa. “Io non vado a letto con gli uomini, Maravan. Preferisco le donne”.
Lui la fissò spaventato.
“Hai capito?”.
Annuì.
“Allora, cosa c’era in quei piatti?”.
Maravan si prese un po’ di tempo, poi rispose. “L’aryuveda è una medicina molto antica. Millenaria. Ha otto rami. L’ottavo – vajikarana – riguarda gli afrodisiaci, tra cui certe spezie. la mia prozia Nangay è una donna saggia e sa come usare questi ingredienti in cucina. E’ stata lei ad insegnarmi le ricette. Ma i piatti che hai mangiato sono opera mia”.
Andrea tornò a casa riflettendo sulle segrete proprietà afrodisiache di latte e lenticchie urid, zafferano e zucchero di palma, mandorle e olio di sesamo, ghee allo zafferano e pepe lungo, cardamomo e cannella, ghee agli asparagi e alla liquirizia.
Un po’ se l’era presa, era arrivata ad accusarlo di “date raping ayurvedico” e se n’era andata senza salutare. ma ora che conosceva la verità si sentiva più sollevata che inquieta. A due fermate dalla propria destinazione, quando finalmente riuscì a considerare l’intera faccenda mantenendo un certa distanza, non poté fare a meno di ridere.
Il giovane che le stava di fronte ricambiò con un sorriso.

Anche maravan si sentiva meglio. Il rifiuto di Andrea aveva una motivazione valida. Il fatto di essere l’unico uomo che per una notte l’aveva portata ad agire contro la sua naturale inclinazione era fonte d’orgoglio. A dire il vero, sotto sotto aveva addirittura qualche speranza.
(...)

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