26 aprile 2018

Da Il talento del cuoco – Martin Suter

opera di Patricia Bellerose
Da Il talento del cuoco – Martin Suter
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Troppe complicazioni per un progetto che poteva anche fallire. Chi le avrebbe restituito i soldi investiti se non avesse ottenuto le autorizzazioni necessarie? Per vedere se la cosa poteva funzionare bisognava per forza lavorare in nero, almeno all’inizio.
Non aveva bisogno di complicarsi così la vita. Una settimana dopo il licenziamento da parte di Huwyler aveva già trovato un altro posto. Meno prestigioso del precedente, ma retribuito abbastanza bene e con una clientela più giovane e gradevole. Il ristorante si chiamava Mastroianni, offriva cucina italiana ed era situato nella zona dei locali più alla moda. In realtà stava pensando di licenziarsi - l’orario di lavoro era un po’ troppo notturno, ma era sicura di poter trovare qualcos’altro in poco tempo.
Spense la sigaretta mezza intera e abbassò la tenda della finestra rivolta a ovest. Era un caldo giorno d’estate, presto il sole pomeridiano avrebbe fatto aumentare la temperatura nel giardino d’inverno. La luce che filtrava attraverso il marrone sbiadito della stoffa conferiva un fascino rétro ai mobili accostati a caso e alle due palme dai interno ricoperte di polvere che arredavano la stanza.
Andrea si risedette e per un attimo ebbe la sensazione di essere in una fotografia ingiallita. Avrebbe fatto meglio a stare lontano da Maravan dopo aver scoperto il suo segreto. Purtroppo quello che era successo la prima volta a casa sua non le dava pace. Aveva bisogno di una certezza, doveva appurare se era stata solo una reazione al cibo.
Non aveva forse avuto una conferma con Franziska, che tra l’altro da quella notte continuava a farsi negare? Sì, una conferma soddisfacente. Ma non aveva motivo di mettere in discussione la propria vita e le proprie inclinazioni, tanto meno di legare il proprio lavoro e il proprio destino a quelli dell’uomo che l’aveva fatta cadere in trappola.
Anche se non gli serbava rancore per ciò che era accaduto. Era una cosa che li avrebbe legati per sempre.
Tirò fuori un’altra sigaretta dal pacchetto ricoperto di scritte minacciose in grassetto.
Quando stava ancora con Dagmar, in tutto l’appartamento vigeva ildivieto di fumare. Avevano smesso insieme. Dopo la rottura Andrea aveva ricominciato e consentito a se stessa di fumare nel giardino d’inverno. Sfortunatamente non aveva un giardino per l’estate.
Anche le differenze culturali tra lei e Maravan avrebbero causato problemi. L’uso di “shri” e “guru” aveva già portato a un confronto. “Per favore, non presentarmi come shri o guru” aveva detto il cuoco in modo educato, ma con fermezza. “Se quelli della mia comunità scoprono che mi faccio chiamare così, sono finito”. No. Era una pessima idea, da qualunque lato la si guardasse.
Posò la sigaretta nel portacenere e osservò il filo di fumo che saliva dritto e sottile fino a sbattere contro una foglia di palma. Forse fu proprio questa immagine a convincerla che nonostante tutto valeva la pena di tentare. Sì, pensò, per una volta possiamo provarci davvero.

Le imposte del soggiorno erano chiuse, porte e finestre spalancate permettevano all’aria di circolare. Con indosso solo il sarong, Maravan era seduto nella penombra davanti al computer e leggeva le ultime notizie.
Il governo dello Sri Lanka aveva ordinato alle Nazioni Unite e a tutte le altre organizzazioni umanitarie di lasciare le province settentrionali entro la finedel mese.
Quasi duecentocinquantamila tamil erano in fuga. Si rischiava una vera catastrofe. Alcuni aerei dell’LTTE avevano attaccato la base aeronautica e il quartier generale della polizia diVavuniya, in una zona che il governo considerava liberata già da tempo, e con l’aiuto dell’artiglieria avevano distrutto il sistema radar, un pezzo di contraerea e il deposito delle munizioni, uccidendo un numero imprecisato di soldati. L’esercito aveva risposto bombardando la A9 nei pressi di Murikandi e  i paesi circostanti. Questo aveva paralizzato il traffico in direzione del check-point di Oamanthai. Dai punti di controllo non passavano più né medicinali né altri generi di conforto.
A Maravan sarebbero serviti più soldi. La sua famiglia avrebbe dovuto rivolgersi sempre più spesso al mercato nero, i cui prezzi salivano di giorno in giorno. Soprattutto quelli delle medicine.
Purtroppo Ori, il prestatore di denaro, applicava interessi di mora altissimi a chi pagava in ritardo e non mostrava alcuna pietà. Come se tutto questo non bastasse, le organizzazioni vicine all’LTTE avevano raddoppiato i loro sforzi per la raccolta di fondi, convinte - per la centesima volta? - che la guerra di liberazione fosse arrivata a una fase decisiva.
Maravan non aveva ancora trovato un posto di lavoro e con il sussidio di disoccupazione e il piccolo extra derivante dalla produzione di mothagam non riusciva neanche a far fronte ai propri obblighi. Si trovava quindi in una situazione disperata quando Andrea chiamò per parlargli del primo incarico della Love Food.
Maravan non ebbe la minima esitazione. Chiese solo: “Sono sposati?”.
“Da quasi trent’anni” fu la risposta divertita di Andrea.
Non gli servì sapere altro.
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