Justus Juncker - In the Kitchen
da La cucina totalitaria – Wladimir Kaminer
Per prima cosa, passammo al setaccio Kazan' alla ricerca di qualcosa di commestibile. Ma nei negozi trovammo solo fiammiferi, acqua minerale, pantofole verdi e sigarette "Prima". La nostra ultima speranza era Marat, un vecchio amico di Kazan' che avevamo conosciuto anni addietro a Mosca. Solo che non sapevamo il suo indirizzo. Ma la gente di Kazan' era gentile: si poteva chiedere qualunque cosa a chiunque si incontrasse. Dopo aver descritto ad alcune persone il nostro amico, ci fu indicata prontamente una casa. Marat era un ometto piccolo e agile con una lunga barba. Sembrava un po' uno di quei monaci volanti di Shaolin di uno dei vecchi film cinesi. Abitava in un appartamento di due stanze con sua moglie e tre figlie adolescenti: Aurora, Venera e Zemfira. Una aveva i capelli rossi, l'altra era bionda e la terza bruna. Marat invece aveva in testa una gran pelata e di mestiere era poeta, pensatore e pittore. Inoltre traduceva in russo antiche poesie tatare e baschire e disegnava illustrazioni per fiabe popolari. Insomma, non faceva un lavoro sensato e tranne qualche mela non aveva niente da mangiare. [...] Per cercare di capire come procurarci da mangiare a Kazan', ci rivolgemmo alle sue figlie. Doveva esserci un segreto, pensavamo. Marat non si interessava del cibo. Lui dava la caccia alla sua musa e si nutriva prevalentemente di tè e sigarette "Prima". Mentre beveva il tè, mangiava mele: ecco la sua cucina tatara.
L'economia pianificata del socialismo funzionava secondo una regola strana e imperscrutabile. Di regola non c'era niente da nessuna parte, ma a volte spuntavano le cose più strane nei luoghi più fuori mano. Le figlie ci raccontarono che a Kazan' c'era un negozio in cui avevano sempre della carne.
"Ogni volta hanno qualcosa di diverso" spiegarono "Interiora, zoccoli, fegato o lingue di manzo". Nel frattempo ci era venuta una fame tale che non c'era zoccolo al mondo che potesse spaventarci. Ci saremmo mangiati pure delle corna. Perciò andammo tutti insieme al negozio. Quel giorno però non c'erano in vendita zoccoli o corna, ma solo mammelle. "Vi farò il karik karta" disse Marat "un'antica pietanza tatara". [...] Comprammo cinque chili di mammelle.
"Per prima cosa, le mammelle vanno tenute a bagno qualche giorno" ci spiegò Marat. Ma considerata la gran fame che avevamo si risolse che le avremmo cucinate subito. Le figlie misero dell'acqua sul fuoco. Le mammelle colorarono l'acqua di bianco, e noi fummo incaricati di asportare la schiuma che affiorava. Tutta la famiglia si riunì intorno ai fornelli. Dopo cinque ore di cottura, l'acqua era ancora lattiginosa. Marat infilò un dito nell'acqua bollente, strofinò le mammelle e scosse la testa. Ancora non erano pronte. Cambiammo l'acqua e bevemmo il concentrato di latte. Non aveva un sapore cattivo, era in qualche modo esotico. Quindi riprendemmo la cottura, che proseguì per quasi tutta la sera. Le figlie portarono un mangiacassette e arrivarono alcuni vicini incuriositi dal nostro esperimento culinario. Questi portarono con sé un po' di pane, della salsiccia fatta in casa e delle patate. Così in qualche modo tutti riuscimmo a sfamarci, almeno per il momento e al mio amico Katzmann venne addirittura la diarrea, perché aveva mangiato delle mele sul concentrato di latte. Intanto le mammelle, che continuavano a cuocere, si erano fatte pian piano gialline.
"Colore sbagliato, ancora non sono pronte" mormorò Marat.
Quella stessa notte Katzmann e io decidemmo di lasciare Kazan' per dirigerci verso Astrachan. Perciò non ho mai saputo che sapore abbiano le mammelle. E che colore assumano a fine cottura. Il karik karta sarà verde, blu o rosso? Magari Marat lo sta ancora preparando... Ma il principio culinario più importante che ho imparato a Kazan' è il seguente: in cucina non contano soltanto gli ingredienti.
Per prima cosa, passammo al setaccio Kazan' alla ricerca di qualcosa di commestibile. Ma nei negozi trovammo solo fiammiferi, acqua minerale, pantofole verdi e sigarette "Prima". La nostra ultima speranza era Marat, un vecchio amico di Kazan' che avevamo conosciuto anni addietro a Mosca. Solo che non sapevamo il suo indirizzo. Ma la gente di Kazan' era gentile: si poteva chiedere qualunque cosa a chiunque si incontrasse. Dopo aver descritto ad alcune persone il nostro amico, ci fu indicata prontamente una casa. Marat era un ometto piccolo e agile con una lunga barba. Sembrava un po' uno di quei monaci volanti di Shaolin di uno dei vecchi film cinesi. Abitava in un appartamento di due stanze con sua moglie e tre figlie adolescenti: Aurora, Venera e Zemfira. Una aveva i capelli rossi, l'altra era bionda e la terza bruna. Marat invece aveva in testa una gran pelata e di mestiere era poeta, pensatore e pittore. Inoltre traduceva in russo antiche poesie tatare e baschire e disegnava illustrazioni per fiabe popolari. Insomma, non faceva un lavoro sensato e tranne qualche mela non aveva niente da mangiare. [...] Per cercare di capire come procurarci da mangiare a Kazan', ci rivolgemmo alle sue figlie. Doveva esserci un segreto, pensavamo. Marat non si interessava del cibo. Lui dava la caccia alla sua musa e si nutriva prevalentemente di tè e sigarette "Prima". Mentre beveva il tè, mangiava mele: ecco la sua cucina tatara.
L'economia pianificata del socialismo funzionava secondo una regola strana e imperscrutabile. Di regola non c'era niente da nessuna parte, ma a volte spuntavano le cose più strane nei luoghi più fuori mano. Le figlie ci raccontarono che a Kazan' c'era un negozio in cui avevano sempre della carne.
"Ogni volta hanno qualcosa di diverso" spiegarono "Interiora, zoccoli, fegato o lingue di manzo". Nel frattempo ci era venuta una fame tale che non c'era zoccolo al mondo che potesse spaventarci. Ci saremmo mangiati pure delle corna. Perciò andammo tutti insieme al negozio. Quel giorno però non c'erano in vendita zoccoli o corna, ma solo mammelle. "Vi farò il karik karta" disse Marat "un'antica pietanza tatara". [...] Comprammo cinque chili di mammelle.
"Per prima cosa, le mammelle vanno tenute a bagno qualche giorno" ci spiegò Marat. Ma considerata la gran fame che avevamo si risolse che le avremmo cucinate subito. Le figlie misero dell'acqua sul fuoco. Le mammelle colorarono l'acqua di bianco, e noi fummo incaricati di asportare la schiuma che affiorava. Tutta la famiglia si riunì intorno ai fornelli. Dopo cinque ore di cottura, l'acqua era ancora lattiginosa. Marat infilò un dito nell'acqua bollente, strofinò le mammelle e scosse la testa. Ancora non erano pronte. Cambiammo l'acqua e bevemmo il concentrato di latte. Non aveva un sapore cattivo, era in qualche modo esotico. Quindi riprendemmo la cottura, che proseguì per quasi tutta la sera. Le figlie portarono un mangiacassette e arrivarono alcuni vicini incuriositi dal nostro esperimento culinario. Questi portarono con sé un po' di pane, della salsiccia fatta in casa e delle patate. Così in qualche modo tutti riuscimmo a sfamarci, almeno per il momento e al mio amico Katzmann venne addirittura la diarrea, perché aveva mangiato delle mele sul concentrato di latte. Intanto le mammelle, che continuavano a cuocere, si erano fatte pian piano gialline.
"Colore sbagliato, ancora non sono pronte" mormorò Marat.
Quella stessa notte Katzmann e io decidemmo di lasciare Kazan' per dirigerci verso Astrachan. Perciò non ho mai saputo che sapore abbiano le mammelle. E che colore assumano a fine cottura. Il karik karta sarà verde, blu o rosso? Magari Marat lo sta ancora preparando... Ma il principio culinario più importante che ho imparato a Kazan' è il seguente: in cucina non contano soltanto gli ingredienti.
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