26 aprile 2018

da “Il talento del cuoco” – Martin Suter

Osias Beert the Elder - A Still Life of Porcelain Vessels Containing Sweets, Pewter Plates Bearing Sweets and Chestnuts, Three Pieces of Glassware and a Bread Roll on a Table Draped With a Mauve Cloth
da “Il talento del cuoco” – Martin Suter

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Era una bellissima giornata di aprile. Quasi duemilacinquecento bambini in uniformi e costumi tradizionali dai mille colori sfilavano a ritmo di marcia per le vie del centro. in fondo al corteo una coppia di cavalli tirava il finto pupazzo di neve ripieno di ovatta che alle sei della sera seguente sarebbe stato consegnato allegramente alle fiamme.
Nello stesso momento in un tempio di periferia erano radunate alcune centinaia di tamil in abiti altrettanto colorati. Si celebrava il capodanno, che questa volta coincideva con la sfilata dei bambini per la festa di Sechselauten.
Mentre i più piccoli giocavano e si divertivano, gli adulti, seduti sul pavimento del tempio, chiacchieravano e ascoltavano attentamente le previsioni per l’anno nuovo.

Marvan spense il frullatore, si asciugò gli occhi con la manica e versò il contenuto del recipiente di vetro nella ciotola con le cipolle crude, i demi di senape e le foglie di curry.
In un’altra ciotola d’acciaio inox di grandi dimensioni, immersi nel loro succo, c’erano i mango verdi tagliati a fettine. Li aveva già mescolati con cocco grattugiato, yogurt, peperoncini verdi e sale. Aggiunse il composto frullato e il ghee insaporito con peperoncino e senape.
Il pachadi ai fiori di neem era pronto. Maravan l’aveva preparato secondo un’antica ricetta, unendo gli amari fiori del neem, il dolce nettare ricavato dalle infiorescenze maschili della palma da zucchero, il succo asprigno del tamarindo, la fresca polpa di mango verde e l’involucro piccante dei peperoncini. Perché il pachadi ai fiori di neem doveva essere come la vita: amaro, dolce, aspro, fresco e piccante.
Dopo la cerimonia le persone che si erano raccolte al tempio – a stomaco vuoto - avrebbero mangiato i due pachadi e si sarebbero augurate e si sarebbero augurate puthandu vazthugal, al buon anno.
Huwyler gli aveva dato la possibilità di scegliere tra un attestato di lavoro completo e uno parziale. il primo avrebbe menzionato il licenziamento immediato e la motivazione (furto d’uso di un costoso apparecchio da cucina), il scondo solo la natura e la durata del rapporto.
Maraval aveva scelto l’attestato parziale, ma tutti i possibili datori di lavoro si meravigliavano che dopo più di un anno da Huwyler non potesse esibire un certificato d’altro genere. E così rispondevano subito con un no oppure non si facevano più sentire.
Aveva il sussidio di disoccupazione. alla fine del mese avrebbe ricevuto poco più di duemila franchi. Che avrebbe integrato lavorando in nero.
L’incarico al tempio era solo l’inizio. e purtroppo era mal pagato. Dapprima si erano appellati al suo senso civico, convinti che avrebbe accettato a titolo gratuito. Volontariato a favore della comunità. in un secondo momento gli avevano accordato una retribuzione simbolica di cinquanta franchi. Maravan sperava che questo, insieme alla qualità del cibo, gli portasse un po’ di notorietà come cuoco.
I tamil della diaspora formavano una comunità piuttosto chiusa. erano tutti preoccupati di conservare la loro cultura ed evitare le influenze del paese ospitante. se dal punto di vista lavorativo s’integravano bene, nei rapporti sociali erano molto limitati. Maravan non era proprio un membro attivo della comunità. Corso di tedesco a parte, non aveva approfittato di nessuna delle offerte per i nuovi arrivati. Si recava al tempio nei giorni più importanti, per il resto preferiva mantenere le distanze. ora che voleva guadagnare lavorando privatamente come cuoco, però, sentiva la mancanza di rapporti più stretti con la comunità.
Gli indù tamil festeggiavano spesso, per motivi religiosi sia che familiari. Pubertà, matrimoni, gravidanze… Non badavano a spese. E il cibo non mancava mai.
Cucinare per la festa di capodanno era già qualcosa. Forse col tempo la voce si sarebbe sparsa e anche gli svizzeri avrebbero cominciato a parlare di un uomo che poteva portare a domicilio i migliori piatti della cucina indiana, singalese e ayurvedica. Un giorno nel quartiere delle ville sarebbe apparso un furgoncino, magari un Citroen Jumper giallo curcuma, con la scritta Catering Maravan.
E poi c’era l’altro sogno, quello di aprire un ristorante col proprio nome. Da Maravan. L’unico locale a offrire cucina d’avanguardia del subcontinente indiano. Al Massimo cinquanta posti, un piccolo tempio gastronomico dove rendere omaggio ai profumi, agli aromi e alle strutture di Sri Lanka e India meridionale.
Dopo avere guadagnato abbastanza ...
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