4 aprile 2020

Francesco Montemurro, La cantina di via Occidentale - Enzo Montano


Francesco Montemurro, La cantina di via Occidentale, Edigrafema Edizioni 2018

…Spagnoli, francesi o piemontesi,
per noi le cose vanno sempre bene!...

Recentemente ho avuto modo di leggere il romanzo di Francesco Montemurro “La cantina di via Occidentale”. Una piacevole sorpresa! Letture scorrevole, leggera, ironica, con diversi detti dialettali e dialoghi tra comari che da una parte dicono e dall’altra contraddicono.
Godibile la lettura della corrispondenza tra i vari uffici, e i verbali redatti, che si occupano del caso narrato, un tentativo di avvelenamento ai danni della matrona dei una delle famiglie più potenti del paesino di Collevigna (Bernalda).
Lo scambio delle missive, oltre a tratteggiare la pedante solerzia dei rappresentanti delle giustizia,   rivela l’alterigia di chi gestisce il potere e la vicinanza dello stesso ai potenti aggiustando i verbali delle dichiarazioni, non senza rinunciare all’ostentazione del ruolo che i singoli ricoprono: «… Lauretta cara, non mi devi creare imbarazzo … svolgo il ruolo di Giudice Istruttore e devo fare le cose per bene, come Dio comanda, cioè come la legge di Sua Maestà comanda!» dice il vice pretore alla vittima del veneficio, «Ma non sei filo borbonico? ‘Sti piemontesi traditori ci volevano a sciacquarti la testa…», «Ecco, lo vedi? Vedi Laure’, queste cose le devi tenere per te, ora non servono. Spagnoli, francesi o piemontesi, per noi le cose vanno sempre bene!...», :«Come minacciata? Volete forse dire che la confessione fu indotta con minacce? E no, speriamo di no… altrimenti un qualsiasi avvocaticchio farebbe saltare in aria le prove dell’accusa».
L’arroganza del potere la si riscontra anche tra i livelli più bassi, è il caso del guardiacaccia Marcello Gambatesa.
I personaggi adeguatamente tratteggiati paiono una galleria di incisioni d’epoca senza coloro appesi alla parete di un’antica residenza. Ma mano che si sfogliano le pagine lo scrittore lo scrittore li descrive, e allora escono dalle cornici, per prendere posto nella vicenda narrata. Alcuni sembrano colorarsi: Annarella, l’avvocato Marinelli, Guido Della Corte, il negoziante Pietro Albanese, altri – i più – rimangono bui fino all’ultima pagina proprio come le acqueforti attaccate al muro: Carmela la serva cattiva, la padrona/matrona Laura Pinto, innocente per diritto, il figlio Giovanni, il distratto questore, il vicequestore.
Pur nella leggerezza l’autore rimarca le differenze sociali molto nette dell’epoca: i padroni da una parte, i miserabili dall’altra, con in mezzo la nascente piccola borghesia e gli apparati burocratici quasi sempre pronti a ingraziarsi i potenti; la protervia dei padroni sui servi cui è negato anche il diritto di parola. I servi, quasi schiavi, sono i destinatari della magnanimità dei padroni per il solo fatto che si offre loro un pagliericcio di foglie secche e gli avanzi dei pasti per cibo. Spesso sospettati di ogni malefatta possibile: l’acqua delle scale è sporca, stava troppo vicino alle salsicce. Certo, la serva Carmela D’Esposito i dispetti li fa, ma se lo può permettere abbondantemente visto il terribile segreto di cui è depositaria.
Non mancano le invidie tra le serve. La bellezza è quasi sempre una colpa. In altri tempi l’invidia per la bellezza poteva preludere alla condanna al rogo.
Vi è il sussiego interessato dei popolani verso i proprietari: «Vatti a fidare della gente, e poi le avete e una casa e pure da mangiare! Quanta ingratitudine!», esprime così la vicinanza alla vittima del fallito veneficio una venditrice di ghiande alludendo all’autrice materiale del tentativo; per poi blandire sussurrando alla stessa: «Eh, non t’ pigghiànn’ velen’, ha fatt’ bbùon, Donna Lauretta è ‘na streg’!Ha fatt bbùon’» (Non ti preoccupare, hai fatto bene).
Non trascurabili le piccole diatribe dei galantuomini del circolo, degli inquilini della cantina di via Occidentale e tra i vari uffici, sebbene velatamente.
Infine il processo celebrato nelle intenzioni degli accusatori per mera formalità date le prove ritenute schiaccianti a carico delle imputate. Un processo inutile perché nessuno si è preso la briga di leggere con la dovuta attenzione la perizia ordinata dal pretore. Tutti distratti nelle faccende della vita privata o dalla vanità. La perizia, quindi, Non la legge lo stesso pretore, né il vicepretore, né il giudice, né il pubblico ministero. La legge per fortuna l’avvocato difensore. Ma quante volte in quel periodo sono state condannati degli innocenti, dei poveracci che non ebbero la fortuna di avere un bravo avvocato?
L’avvocato Marinelli evita una pesante condanna ad Anna. Si sottace alla giustizia il vero delitto, quello perpetrato dalla padrona-matrona e dalla serva senza scrupoli.

L’autore ci regala Una storia dalla lettura scorrevole, piacevolmente lieve e nel contempo ci regala immagini di un passato che ha segnato i nostri paesi, la cui eco non si è ancora spenta tra i vicoli e le strade testimoni di nomi e fatti. Un libro che consiglio di leggere.
Buona lettura!
1 aprile 2020

Enzo Montano

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