2 aprile 2020

La puttana contadina Cesare Pavese

Egon Schiele - Ragazza nuda accovacciata, 1917
La puttana contadina Cesare Pavese

La muraglia di fronte che acceca il cortile
ha sovente un riflesso di sole bambino
che ricorda la stalla. E la camera sfatta
e deserta al mattino quando il corpo si sveglia,
sa l’odore del primo profumo inesperto.
Fino il corpo, intrecciato al lenzuolo, è lo stesso
dei primi anni, che il cuore balzava scoprendo.

Ci si sveglia deserte al richiamo inoltrato
del mattino e riemerge nella greve penombra
l’abbandono di un altro risveglio: la stalla
dell’infanzia, e la greve stanchezza del sole
caloroso sugli usci indolenti. Un profumo
impregnava leggero il sudore consueto
dei capelli, e le bestie annusavano. Il corpo
si godeva furtivo la carezza del sole
insinuante e pacata come fosse un contatto.

L’abbandono del letto attutisce le membra
stese giovani e tozza, come ancora bambine.
La bambina inesperta annusava il sentore
del tabacco e del fieno e tremava al contatto
fuggitivo dell’uomo: le piaceva giocare.
Qualche volta giocava distesa con l’uomo
dentro il fieno, ma l’uomo non fiutava i capelli:
le cercava nel fieno le membra contratte,
le fiaccava, schiacciandole come fosse suo padre.

Molte volte ritorna nel lento risveglio
quel disfatto sapore di fiori lontani
e di stalla e di sole. Non c’è uomo che sappia
la sottile carezza di quell’acre ricordo.
Non c’è uomo che veda oltre il corpo disteso
quell’infanzia trascorsa nell’ansia inesperta.

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