4 aprile 2020

Rubens il partigiano e altri racconti – Enzo Montano

Rubens il partigiano e altri racconti – Enzo Montano
 
da “La biro”
[…]
Mentre verificava il modello e le dimensioni sul buono di riparazione, un movimento brusco della mano fece cadere la biro che aveva appena posato sul ripiano della scrivania. Si piegò per raccoglierla ma il cappuccio era sparito, non si vedeva più. Doveva trovarlo. Non riusciva a lasciar perdere, era come uscire di casa e lasciare il cassetto del comò aperto, o l’anta di un mobile della cucina spalancato, o una macchia di caffè sul pavimento del soggiorno. Quel cappuccio azzurro di una biro pubblicitaria del valore di venti o trenta centesimi in giro per il negozio, magari nascosto sotto uno degli espositori, rappresentava un segnale di disordine. Quantunque invisibile, malgrado piccolissimo, ancorché trascurabile, e per quanto Federico sarebbe stato preso durante la giornata da altri impegni e altri pensieri, sapeva benissimo che quel cappuccio azzurro della biro pubblicitaria del valore di venti centesimi, lo avrebbe inseguito appena la sua mente fosse stata sgombera da altri pensieri, proprio quando avrebbe cercato di distendersi in un piccolo riposo senza pensieri, in quel preciso momento si sarebbe materializzato il cappuccio azzurro a ballonzolare irriverente nella scatola cranica spintonando cose ben più importanti del cappuccio di una biro. Avrebbe circonflesso la mente su quel piccolo insignificante particolare e sarebbe diventato un chiodo fisso, una sorta di malessere leggero insopportabile per una persona metodica e ordinata.
Federico quasi si adagio sul pavimento per meglio vedere in controluce l’ombra dell’oggetto. Niente. Il cappuccio azzurro era occultato da un qualche sortilegio del folletto dispettoso, addetto a rovinare la serenità mattutina di chi si è alzato presto e prova a cominciare di buona lena una giornata di per sé poco gioiosa. Ma Federico non si lasciò turbare da quei pensieri, per nulla disposto a dargliela vinta all’antipatico folletto delle biro. Prese la ramazza e la passò meticolosamente sul pavimento fin sotto i mobili, almeno dove poteva arrivare, dopotutto il cappuccio azzurro della biro pubblicitaria del valore di venti centesimi giammai sarebbe potuto uscire. Doveva essere lì, non molto discosto dalla scrivania, dove lo costringeva ogni legge della fisica, della cinetica, della gravità e anche del buon senso. Non aveva il dono dell’invisibilità e neanche poteva muoversi autonomamente. Sicuramente sarebbe stato preda della scopa, sussurrava a Federico il suo realistico ottimismo. Invece no. Niente. Hai voglia a passare e ripassare la scopa. Quell’impertinente di cappuccio era ben nascosto. Diede un’altra occhiata sotto la scrivania, sposto la sedia, perlustro ancora il pavimento. Nessuna traccia del cappuccio della biro. Riprese a scrivere, aggiunse ancora qualcosa sulla nota eppure avvertiva un senso leggero ma persistente di, come dire, incompletezza? Era come se in quella scena, nello studiolo, si fosse spezzata la linea perfetta che ordinava gli avvenimenti nell’esatto accadere, proteggendoli dai possibili interventi esterni. Federico cercava di concentrarsi ma lo sguardo si andava a bloccare sempre, come ipnotizzato, sulla parte superiore della biro rimasta nuda, disarmonica, fuori contesto, senza il suo cappuccio azzurro che le conferiva completezza e anche una certa elegante autorevolezza, modesta ma dignitosa. Adesso invece appariva sciatta, neanche sembrava più una biro, somigliava più allo spuntone di un molo emerso dopo l’alta marea o a un palo di staccionata divelta o a un paletto di ferro sul marciapiede a cui era stato asportate il segnale per qualche ragione misteriosa. La sua vista risultava addirittura fastidiosa.
Non ricordava da quanto tempo stesse nel portapenne, forse anni, probabilmente l’aveva lasciata in negozio un rappresentante, un cliente, o più semplicemente gli era stata regalata da qualcuno chissà dove, dopotutto non si trattava di un oggetto capace di fissare un ricordo rintracciabile nell’affollata memoria di un qualsiasi individuo, preso continuamente dalle numerose eventualità poste dall’esistenza nella normale quotidianità. Una semplice biro pubblicitaria come tante del valore di venti centesimi, dal corpo esagonale, colorata longitudinalmente ognuna delle sei sezioni di giallo o di azzurro in maniera alternata, con il cappuccio azzurro. Un oggetto normalissimo utile alle più normali attività di un normalissimo quotidiano. Un oggetto senza alcun altro valore materiale né affettivo poiché Federico neanche ne ricordava la provenienza, eppure capace di originare un persistente senso di fastidio per il solo fatto di non riuscire a ritrovare il suo cappuccio, che pure non poteva che essere nello studiolo.
Con un certo sforzo riuscì a completare la nota ma senza che il pensiero del cappuccio azzurro lo abbandonasse. Per distrarsi e per lasciar passare il tempo che lo separava dall’orario di apertura, accese il computer
[…]

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