I
Robert
Cohn era stato campione dei pesi medi a Princeton. Non dovete credere che
questo come titolo sportivo faccia impressione a me, ma Cohn ci teneva
moltissimo. In realtà del pugilato niente gli importava, non gli piaceva
affatto, ma l'aveva dolorosamente imparato alla perfezione per controbattere la
sensazione di inferiorità e di timidezza che l'essere trattato da ebreo a
Princeton gli procurava.
C'era
un certo intimo conforto nella coscienza di poter mettere a terra chiunque
fosse stato insolente con lui, per quanto Cohn, ragazzo molto timido e per
bene, non facesse mai a pugni tranne che in palestra. Era l'allievo prodigio di
Spider Kelly.
Di
tutti i suoi giovanotti Spider Kelly tendeva a fare dei pesi
piuma,
sia che pesassero cinquanta chili oppure un quintale. Ma con Cohn gli riuscì.
Cohn
davvero era in gamba. Era tanto in gamba che Spider Kelly prestissimo lo mise
fuori combattimento e gli ammaccò irrimediabilmente il naso. Questo accrebbe
l'antipatia di Cohn per il pugilato ma gli diede una soddisfazione di strano
genere e in qualche modo gli abbellì il naso. Nell'ultimo anno a Princeton
leggeva troppo e aveva cominciato a portare gli occhiali. Non ho mai incontrato
nessuno della sua classe che si ricordasse di lui. Non si ricordavano nemmeno
che era stato campione dei pesi medi.
Io
diffido di tutta la gente semplice e sincera, specialmente quando le loro
storie sono logiche e coerenti, e avevo sempre avuto il sospetto che Cohn non
fosse mai stato campione dei pesi medi, ma che un cavallo gli avesse magari
passeggiato sulla faccia, o che la madre si fosse spaventata vedendo qualcosa,
o che contro qualcosa lui da bambino fosse andato a sbattere; ma alla fine ebbi
il modo di controllare la storia da Spider Kelly in persona. Non solo Spider Kelly
si ricordava di Cohn, ma spesso si era chiesto che cosa ne
fosse
successo.
Robert
Cohn apparteneva per parte di padre a una delle più ricche famiglie ebree di
New York e per parte di madre a una delle più antiche. Nel collegio militare
dove prima di andare a Princeton era stato un'ottima ala della squadra di
calcio nessuno gli aveva dato
una
coscienza di razza. Prima che andasse a Princeton nessuno gli aveva mai fatto
sentire la sua condizione di ebreo e cioè di diverso da tutti gli altri. Cohn
era un ragazzo per bene, un ragazzo socievole e molto timido, e la cosa lo
amareggiava. Cercò uno sfogo nel pugilato, uscì da Princeton con una dolorosa
autocoscienza e il naso ammaccato, e sposò la prima ragazza che fu carina con
lui. Rimase sposato cinque anni, ebbe tre bambini, spese la maggior parte dei
cinquantamila dollari che il padre gli aveva lasciati - conservando la madre
l'amministrazione del patrimonio - e si fossilizzò in una poco attraente muffa
domestica nella infelice convivenza con una moglie ricca. Proprio quando, alla
fine, aveva preso la risoluzione di piantare la moglie, questa piantò lui andandosene
con un pittore di miniature. Siccome Cohn da mesi aveva in animo di
abbandonarla e non si era deciso perché gli sembrava che sarebbe stato troppo
crudele privarla di sé, la partenza di lei fu un salutare avvenimento.
Il
divorzio fu concluso e Robert Cohn si trasferì sulla Costa. In California
capitò in un ambiente di letterati e dopo poco tempo, dato che ancora gli
restava una parte dei cinquantamila lasciatigli dal padre, si trovò a
finanziare una rivista d'arte. La rivista cominciò le pubblicazioni a Carmel,
California, e le finì a Provincetown, Massachusetts. Nel frattempo Cohn, che
era stato preso in considerazione solo come una specie di angelo e il cui nome
era comparso in prima pagina esclusivamente come membro del comitato consultivo,
era diventato l'unico direttore. Era denaro suo, e Cohn si accorse che
l'autorità del direttore gli piaceva. Gli dispiacque quando la rivista diventò
troppo costosa e dovette cederla.
Nel
frattempo però si trovò a doversi preoccupare di altre cose. Una donna che
sperava di tirarsi su assieme alla rivista si era attaccata a lui. Lei fu molto
abile e Cohn del resto non fu mai capace di evitare che si attaccassero a lui.
In più egli era sicuro di amarla. Quando questa donna capì che la rivista non
si sarebbe più tirata su, si disgustò un poco di Cohn e decise che era il caso
di realizzare quello che ancora si poteva, così insistette perché tutti
e
due si trasferissero in Europa, dove Cohn avrebbe potuto scrivere. Vennero in
Europa, dove lei era stata educata, e si fermarono tre anni. Durante questi tre
anni, il primo passato in viaggio, gli altri due a Parigi, Robert Cohn ebbe due
amici, Braddocks e me. Braddocks era il suo amico letterato. Io ero il suo
amico per il tennis.
Frances,
la donna che si era attaccata a Cohn, scoperse verso la fine del secondo anno
che la linea se ne andava, e il suo atteggiamento nei riguardi di Cohn mutò, da
noncurante possesso e sfruttamento, in assoluta determinazione che egli dovesse
sposarla. Nel frattempo la madre di Cohn gli aveva assegnato una rendita di circa
trecento dollari al mese. Non credo che in questi due anni e mezzo Robert Cohn
guardasse mai un'altra donna. Avrebbe potuto dirsi assolutamente felice, se non
fosse stato che, come molta gente che vive in Europa, desiderava di vivere in
America, e che aveva scoperto la letteratura. Scrisse un romanzo, che non era
poi un così infame romanzo come la critica lo giudicò, certo era un romanzo
molto povero. Leggeva molti libri, giocava a bridge, giocava a tennis, tirava
di boxe in una palestra del posto.
Per
la prima volta io mi resi conto dell'atteggiamento di Frances nei riguardi di
Cohn una sera che tutti e tre avevamo pranzato assieme. Avevamo pranzato a
l'Avenue ed eravamo poi andati a prendere il caffè al Café de Versailles. Dopo
il caffè prendemmo molti fines e io dissi che dovevo andar via. Cohn aveva
lanciato l'idea di andare lui ed io a fare il week-end in qualche posto. Voleva
andar via dalla città e fare un buon giro. Io suggerii di prendere l'aeroplano
fino a Strasburgo e andare a Saint-Odile o altrove in Alsazia. "Conosco
una ragazza a Strasburgo che può farci vedere la città" dissi.
Mi
arrivò un calcio sotto la tavola. Pensai che la cosa fosse casuale e continuai:
"Sta a Strasburgo da due anni e sa tutto quello che c'è da vedere in
città. E' una bella ragazza".
Un
altro calcio mi arrivò sotto la tavola e levando gli occhi vidi Frances che
alzava il mento e irrigidiva la faccia.
"Diamine"
dissi. "Perché andare a Strasburgo? Possiamo andare a Bruges, o nelle
Ardenne."
Cohn
sembrò sollevato. Non arrivarono altri calci. Io dissi buonanotte e me ne
andai. Cohn disse che veniva con me fino all'angolo per comperare un giornale.
"Per amor di Dio" disse "perché hai parlato di quella ragazza di
Strasburgo? Non hai visto Frances?"
"No,
che cosa avrei dovuto vedere? Che c'entra Frances se io conosco una ragazza
americana che vive a Strasburgo?"
"Non
vuol dire. Qualsiasi ragazza. Io non potrei venire."
"Non
far lo stupido."
"Tu
non conosci Frances. Proprio qualsiasi ragazza. Non hai visto che faccia ha
fatto?"
"Oh,
bene" dissi. "Possiamo andare a Senlis."
"Non
arrabbiarti."
"Non
mi arrabbio. Senlis è un bel posto, possiamo fermarci al Gran Cervo, fare un
giro nel bosco e ritornare."
"Certo
sarà bello."
"Bene"
io dissi. "Ci vediamo domani al tennis."
"Buonanotte,
Jake" disse lui, e fece per ritornare verso il caffè.
"Hai
dimenticato il giornale" dissi io.
"Già."
Venne con me fino all'edicola all'angolo. "Non sei arrabbiato, vero,
Jake?" Si voltò verso di me col giornale in mano.
"No,
perché dovrei essere arrabbiato?"
"Ci
vediamo al tennis" disse lui. Io lo guardai allontanarsi col giornale in
mano. Mi piaceva. Lei evidentemente guidava tutta la vita di lui.
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