24 aprile 2018

Ode all’olio – Pablo Neruda

Vincent Van Gogh - Olive Trees
Ode all’olio – Pablo Neruda

Vicino al rumoroso
cereale, alle onde
del vento nell’avena,

l’olivo

di volume argentato,
severo nel suo lignaggio,
nel suo contorto
cuore terrestre:
le gracili
olive
levigate
dalle dita
che fecero
la colomba
e la chiocciola
marina:
verdi,
innumerevoli,
purissimi
capezzoli
della natura,
e lì
nei
secchi
uliveti,
dove
solamente
cielo azzurro con cicale,
e terra dura
esistono,

il prodigio,
la capsula
perfetta
dell’oliva
riempie
con le sue costellazioni il fogliame:
più tardi
l stoviglie,
il miracolo,
l’olio.

Io amo
le patrie dell’olio,
gli uliveti
di Chacabuco, in Cile,
la mattina
le piume di platino
forestali
contro le grinzose
cordigliere,
in Anacapri, in alto,
sopra la luce tirrena,
la disperazione degli olivi,
e nella mappa d’Europa,
Spagna,
cesta nera di olive
sparse per le zagare
come per una raffica marina.

Olio,
recondita e suprema
condizione della pentola,
piedistallo di perdizione,
chiave celeste della maionese,
soave e saporoso
sopra le lattughe
e soprannaturale nell’inferno
degli arcivescovili aterini.
Olio, nella nostra voce, nel
nostro coro,
con
intima
soavità poderoso
canti:
sei idioma
casigliano:
hai sillabe di olio,
hai palpebre
utili ed odorose
come la tua fragrante materia.
Non canta soltanto il vino,
canta anche l’olio,
vive in noi con la sua luce matura
e tra i beni della terra
separo,
olio,
la tua inesauribile pace, la tua essenza verde,
il tuo colmo tesoro che discende
dalle sorgenti dell’olivo.

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