Gianni Mariotti - L'amante
Il tailleur grigio - Andrea Camilleri
(…)
E
fu appunto una domenica mattina che Adele, in mutande e reggiseno, arrivata al
momento della scelta del vestito, raprì una parte dell’armadio che mai le aveva
visto raprire e ne pigliò uno a colpo sicuro.
Lo
riconobbe immediatamente, perché dai primi suoi incontri con Adele conservava
una memoria lacerante, macari del più piccolo dettaglio. Era quel tailleur
grigio da donna d’affari che aveva indossato appena passato il lutto stritto,
quando era venuta a trovarlo in banca per firmare i documenti e doppo erano
andati a mangiare per la prima volta insieme. Quando lei gli aveva detto
d’essere sterile. Da allora, non glielo aveva più visto addosso.
Perché
lo tirava fuori ora?
Come
se avesse indovinato la sua muta domanda, lei, mentre mioveva il bacino a
piccoli colpi per infilarsi al gonna, disse:
“Ieri
sera zia Ernestina mi ha telefonato da Bagheria che zio ‘Ntonio sta morendo. Lo
vado a trovare. Ha pochi giorni di vita. Ci faccio un salto e poi torno perché
ho una riunione del direttivo.”
Zia
Ernestina e zio ‘Ntonio, che non avevano figli, se l’erano pigliata in casa
quando, a quattordici anni, era rimasta orfana.
A
stare a quanto gli aveva contato, l’anno appresso, il jorno che aveva compiuto
quindici anni, le avevano fatto una doppia festa: all’ora di pranzo, tornando
da scuola, aveva trovato una torta con le candeline e un bel vestitino novo
novo. Questa era stata la prima festa. La seconda, più intima, gliela aveva
fatta lo zio ‘Ntonio approfittando che la mogliere era nisciuta e sarebbe
rimasta fora tutto il doppopranzo.
“Ma
tu non ti sei minimamente insospettita quando ti ha chiesto di salire in
soffitta con lui?”
“Certo
che sì. Non ero scema nemmeno allora.”
“E
ci sei andata lo stesso?”
“Sì.”
“E
che è successo?”
“C’era
una brandina con un materasso arrotolato.”
“L’ha
srotolato?”
“No,
l’ha buttato a terra.”
“Perché?”
“Non
so, forse si scantava che si macchiava e la zia…”
“Tu
che facevi, intanto?”
“Lo
guardavo.”
“E
poi?”
“E
poi mi ha fatto stendere sulla brandina, mi ha fatto alzare le gambe e mi ha
sfilato le mutandine. Vuoi altri particolari?”
“Mi
bastano. Com’è che non ti sei ribellata?”
“Boh.”
“Perché?”
“Mah,
forse perché m’era parsa una cosa ineluttabile. Sapevo che prima o poi… Era da
qualche mese che ci provava.”
“E
quant’è durata?”
“Un
annetto circa.”
“Sempre
nella soffitta?”
Lei
arridì.
“No.
Non c’era più rischio di macchie compromettenti. Nel suo letto, nel mio, dove
capitava. Oppure in piedi.”
“E
com’è finita?”
“Ho
conosciuto un ragazzo, mi sono innamorata e non ne ho più voluto sapere di
continuare.”
“E
lui?”
“S’è
dovuto rassegnare, poverino.”
Poverino.
E
ora lei lo andava a trovare in punto di morte indossando il vestito adatto alla
circostanza. Perché era chiaro che quel tailleur lei l’usava solo come doppo
lutto stritto o come pre lutto.
Quando
lei gli aveva detto che non si era ribellata alla violenza dello zio perché
riteneva la cosa ineluttabile, aveva adoperata questa precisa parola, lui aveva
sentito che in quel momento le loro due orbite, che parevano seguire ellittiche
sideralmente diverse, si erano, di colpo e per un istante, avvicinate.
Nei
matrimoni, doppo qualche tempo, spesso avviene una sorta di misteriosa
comunanza, complicità o quello che è, che porta marito e mogliere a vedere e a
giudicare le cose allo stesso modo. Anche lui aveva lucidamente previsto il
tradimento di lei e, quando si era avverato, non aveva reagito. Si era
semplicemente arreso, come Adele, all’ineluttabilità.
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