Opera di Steve Hank
Il tailleur grigio - Andrea Camilleri
(…)
Erano
passate tre ore. Sicuramente Adele in quel momento si stava rivestendo. Fu
allora che provò l’unica, vera fitta di gelosia. Che Adele si fosse fatta
possedere da un altro rientrava, conoscendola, nell’ordine delle cose
ineluttabili. Ma che concedesse all’amante macari la possibilità di vederla
durante la cerimonia, questo era troppo.
Perché
la sua vestizione, alla quale gli era dato d’assistere solo la domenica mattina,
era una vera e propria cerimonia che cominciava con una lunga purificazione del
corpo. Per lavarsi adoperava due saponi. Col promo s’insaponava tutta stando
addritta davanti al lavandino. Quindi andava a farsi la doccia badando che non
le restasse in qualche parte del corpo la minima traccia di schiuma. Quindi,
restando sempre sotto il getto, usava il secondo sapone.
Una
volta si era azzardato:
“Mi
lasci entrare?”
Aveva
gana d’insaponarla tutta e dovunque, davanti e darrè, d’abbracciarla stretta
per sentirla scivolare contro di sé come un’anguilla.
“Non
ti permettere!”
Un
ordine secco, dato con u tono irritato che non ammetteva replica. E lui aveva
obbedito, limitandosi a taliarla attraverso il vetro opaco del box, assittato
sul bordo della Jacuzzi che lei usava raramente. Doppo lei nisciva dalla doccia
e s’asciucava taliandosi allo specchio che occupava tutto intere il retro della
porta. Gettato a terra il grande asciugamano, pigliava il vasetto di una crema,
appositamente preparata in erboristeria, che si spalmava a lungo sui seni.
Vedeva i suoi capezzoli durante il massaggio indurirsi e rizzarsi. Ma fin dalla
prima volta Adele aveva stabilito che lui poteva assistere al rito senza
parteciparvi, come dire, emotivamente. Per questo, per evitare ogni rischio,
appena lei gettava a terra l’asciugamano, lui lo raccoglieva e se lo metteva
sulle gambe.
Dopo
i seni, veniva il turno delle braccia e delle gambe. Prima procedeva alla
depilazione delle ascelle con un rasoietto color verde, quindi, presa in mano
una lente d’ingrandimento, esplorava millimetro doppo millimetro le braccia e
le gambe alla ricerca di qualche pelo inesistente, aveva la pelle liscia come
una palla da bigliardo. Se credeva di vederne uno, lo strappava con la
pinzetta. Le cerette, che pure aveva, erano del tutto inutili. Quindi, si
massaggiava a lungo con un’altra crema personale.
Doppo,
assittata sullo sgabello di plastica bianca, coi piedi appoggiati sull’orlo
della vasca da bagno, le ginocchia flesse, nella mano mancina uno specchietto
col manico e nella dritta un piccolo rasoio stavolta rosa, aboliva o riduceva
il biondo-rossiccio contorno delle sue parti intime. Con un’altra crema, si
massaggiava le natiche e la parte interna delle cosce. Seguiva la pulizia dei
piedi che venivano anch’essi spalmati da un altro tipo di crema. Sulle unghie
si spennellava qualcosa che le rendeva lucidissime.
Appresso,
sempre nuda, passava nella grande camera-spogliatoio che c’era allato del
bagno. Lui la seguiva e aveva diritto a uno sgabello. Assittata sul pouf della
toilette, si dava una ritoccatina alle sopracciglia e si passava appena appena
un rossetto rosa tenue sulle labbra. Non ne aveva nisciun bisogno, ma lo faceva
lo stesso. L’unico momento nel quale poteva partecipare al rito era quando lei
gli pruiva, senza parlare, la spazzola per i capelli. Addritta darrè a lei,
glieli spazzolava per una mezzorata. Doppo tornava al suo posto.
Lei
allora si girava dando le spalle allo specchio della toilette e, sempre
standosene assittata, arrotolava la prima calza. Appresso, calata in avanti,
con i seni tanto solidi da non da non cataminarsi manco in quella posizione,
infilava la punta del piede nella calza e cominciava a srotolarla
lentissimamente. E altrettanto lentissimamente isava la gamba via via che la
calza risaliva dal malleolo al polpaccio alla coscia. Infine, con la gamba
completamente isata come una ballerina, dava l’ultima tirata alla calza in modo
che aderisse perfettamente alla pelle senza la minima increspatura. Doppo aver
inguainato macari l’altra gamba, si metteva il reggiseno standosene sempre
assittata. Si susiva con le mutandine in mano e, per infilarsele, gli voltava
le spalle. Doppo spalancava le ante dell’armadio e accomenzava a passargli
davanti, mugolando a bocca chiusa una canzoncina.
Quando
decideva come vestirsi, non aveva ripensamenti. Solo che, stranamente, i gesti
che faceva per vestirsi risultavano assai più provocanti di quelli di uno
spogliarello.
Se
indossava per esempio un paio di pantaloni, i sinuosi movimenti del bacino e
dei fianchi mimavano spietatamente un altro movimento.
(…)
Nessun commento:
Posta un commento