16 giugno 2017

Arrivare là – Sylvia Plath

Maurits Cornelis Escher - Sogno

Arrivare là – Sylvia Plath

Quanto è distante?
A che distanza è adesso?
Le enormi interiora di gorilla
delle ruote avanzano, mi fanno spavento----
I terribili cervelli
di Krupp, musi neri
rotanti, il rimbombo
che sbotta: Assenza!, come il cannone.
È una Russia che ho da attraversare, una guerra.
Piano piano il mio corpo
trascino su una paglia di carri bestiame.
È adesso il momento per corrompere.
Cosa mangiano le ruote, queste ruote
fissate ai loro archi come iddii,
il guinzaglio argenteo del volere----
inesorabilmente. E che superbia!
Gli dei conoscono solo destinazioni.
Io sono una lettera infilata in questa buca----
volo a un nome, a due occhi.
Ci sarà un fuoco là, ci sarà cibo?
Qui c'è un tal fango!
È una stazione, le infermiere sotto un'acqua
di rubinetto, i suoi veli, veli di convento,
toccano i loro feriti,
uomini che il sangue ancora pompa in avanti,
gambe, braccia ammucchiate fuori
della tenda di lamenti interminabili----
un ospedale di bambole.
E gli uomini, quel che resta degli uomini
pompati avanti da questi stantuffi, questo sangue
dentro il prossimo miglio,
la prossima ora----
dinastia di frecce troncate!

Quanto è distante?
C'è fango sui miei piedi,
spesso, rosso e sguisciante. È la parte di Adamo,
questa terra da cui sorgo, e io in agonia.
Io non posso disfarmi e il treno sta sbuffando.
Sbuffando e sfiatando, i suoi denti
pronti a arrotare come quelli di un diavolo.
Manca un minuto alla fine
un minuto, un cadere di goccia.
Quanto è distante?
È così piccolo
il luogo dove sto andando, e perché questi ostacoli----
Il corpo di questa donna,
gonne incarbonite e maschera di morte
vegliato da pie figure e fanciulli in ghirlanda.
E adesso detonazioni----
tuono e cannoni.
Il fuoco ci separa.
Non c'è luogo tranquillo
che giri e giri a mezz'aria,
intatto e intoccabile.
Il treno ci trascina, sta urlando----
animale
smanioso della sua destinazione,
macchia di sangue,
faccia sull'estinguersi del bagliore.
Seppellirò i feriti come crisalidi,
conterò e seppellirò i morti.
Si torcano le loro anime in una rugiada,
incenso sulla mia strada.
Dondolano i carri, sono culle.
E io, sgusciando da questa pelle
di vecchie bende, noie, vecchie facce

a te salgo dal nero carro di Lete,
pura come un'infante.

Traduzione di Giovanni Giudici

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