16 giugno 2017

Un regalo di compleanno – Sylvia Plath

opera di Juan Medina
Un regalo di compleanno – Sylvia Plath

Cosa c’è dietro questo velo, è brutto, è bello?
Luccica, ha seni, ha spigoli?

Certo è unico, certo è proprio quel che voglio.
Mentre cucino tranquilla, lo sento guardarmi e pensare

“E’ lei cui debbo apparire, è questa l’eletta,
con quelle occhiaie nere e una cicatrice?

E sta dosando farina, eliminando eccedenze,
seguendo le istruzioni, le istruzioni, le istruzioni.

E’ questa a cui va l’annunciazione?
Dio mio, che buffo!”.

Ma luccica, non smette, e credo che mi desideri.
Non me ne importerebbe se fossero ossa o un bottone.

Non ho tanta voglia di regali quest’anno.
In fondo sono viva soltanto per caso.

Sarei stata ben lieta di farcela a ammazzarmi,
mentre ecco qui questi veli, tremuli come tendine,

i diafani satin di una finestra di gennaio
dal biancore di culla, dal morto respiro. O avorio!

Sarà magari una zanna, una colonna-fantasma.
Quel che si sia, non vedi che non me ne importa?

Non puoi darmela proprio?
Non vergognarti----non me ne importa se è piccola.

Niente meschinerie, l’iperbole non mi spaventa.
Sediamoci qui accanto, ammiriamone il brillio,

la lucentezza, la specchievole varietà.
Usiamola per l’ultima cena, come un vassoio d’ospedale.

Lo so perché non mi dai questa cosa,
hai terrore

che il mondo esploda in un grido e con lui la tua testa,
borchiuta, bronzea, come uno scudo antico,

meraviglia ai tuoi pronipotini.
Niente paura, non succederà niente.

La prenderò, mi metterò buona in disparte.
Non sentirai frusciare la carta mentre la svolgo,

niente scioglier di nastri, né gridolino finale.
Tu non mi credi, lo so, discreta fino a tal punto.

Ma tu sapessi come ammazzano i miei giorni certi veli
che per te sono solo trasparenze, pura aria!

Invece sono, ahimè, quasi cotone le nuvole.
A eserciti. Sono ossido di carbonio.

Aspiro con dolcezza, con dolcezza,
mi riempio le vene di invisibili, milioni

di probabili moti che scandiscono anni di vita.
Per l’occasione indossi un vestito d’argento. O macchina calcolatrice----

proprio niente ti sfugge!
Metti un bollo di rosso su ogni pezzetto,

ammazzi tutto quel che puoi!
Solo una cosa oggi voglio e solo tu puoi darmela.

E’ presso la mia finestra, grande come il cielo.
Respira dai miei lenzuoli, freddo morto centro

dove vite riverse si congelano in storia.
Non mandarla per posta, un briciolo alla volta.

Né a voce, perché arriverei a sessant’anni
prima d’averla intera e sarei troppo ottusa per usarla.

Ma tira giù quel velo, il velo, il velo.
Se quella cosa fosse la morte

ne ammirerei la profonda gravità, gli occhi senzatempo.
Saprei che facevi sul serio

sarebbe allora una solennità, un vero compleanno.
E non per tagliare la torta servirebbe il coltello, ma

come un pianto infantile puro e netto entrerebbe
a sfilar via d’accanto a me l’universo.

Traduzione di Giovanni Giudici

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