17 giugno 2017

Papà – Sylvia Plath

Otto, Aurelia, e Sylvia Plath, luglio 1933

Papà – Sylvia Plath

Non servi, non servi più,
o nera scarpa, tu
in cui trent’anni ho vissuto
come un piede, grama e bianca,
trattenendo fiato e starnuto.

Papà, ammazzarti avrei dovuto.
Ma sei morto prima che io ci riuscissi----
tu greve marmo, sacco pieno di Dio,
statua orrenda dal grigio alluce
grosso come una foca di Frisco

e un capo nell’Atlantico estroso
al largo di Nauset laggiù
dove da verde diventa blu.
Un tempo io pregavo per riaverti.
Ach, du.

In tedesco, in un paese
di Polonia al suolo spianato
da guerre, guerre, guerre.
Ma il paese ha un nome molto usato.
Un mio amico polacco

mi dice che ce n’è un sacco.
Cosi non ho mai saputo
dov’eri passato o cresciuto.
Mai parlarti ho potuto.
Mi si incollava la lingua al palato.

Mi s’incollava a un filo spinato.
Ich, ich, ich, ich,
non riuscivo a dir più di così.
Per me ogni tedesco era te.
e quell’idioma osceno

era un treno, un treno che
ciuff-ciuff come un ebreo portava via me.
A Dachau, Auschwitz, Belsen.
Da ebreo mi mettevo a parlare.
E lo sono proprio, magari.

Le nevi del Tirolo, la birra chiara di Vienna
non son molto pure o sincere.
Per la mia ava zingara e fortunosi sbocchi
e il mio mazzo di tarocchi e il mio mazzo di tarocchi
qualcosa di ebreo potrei avere.

Ho avuto sempre terrore di te,
con la tua Luftwaffe, il tuo gregregrè.
E il tuo baffo ben curato
e l’occhio ariano d’un bel blu
Uomo-panzer, panzer, O Tu----

Non un Dio ma svastica nera
che nessun cielo ci trapela.
Ogni donna adora un fascista,
la scarpa in faccia e il cuore
brutale di un bruto a te uguale.

Tu stai alla lavagna, papà,
nella foto che ho di te,
biforcuto nel mento anziché
nel piede, ma diavolo sempre,
sempre uomo nero che

con un morso il cuore mi fende.
Avevo dieci anni che seppellirono te.
A venti cercai di morire
e tornare, tornare a te.
Anche le ossa mi potevano servire.

Ma mi tirarono via dal sacco,
mi rincollarono i pezzetti.
E il da farsi così io seppi.
Fabbricai un modello di te,
uomo in nero dall’aria Meinkampf,

e con il gusto di torchiare.
E io che dicevo sì, sì.
Papà, eccomi al finale.
Tagliati i fili del nero telefono
le voci più non ci possono miagolare.

Se ho ucciso un uomo, due ne ho uccisi----
Il vampiro che diceva esser te
e un anno il mio sangue bevé,
anzi sette, se tu
vuoi saperlo. Papà, puoi star giù.

Nel tuo cuore c’è un palo conficcato.
Mai i paesani ti hanno amato.
Ballano e pestano su te.
Che eri Tu l’hanno sempre capito.
Papà, carogna, ho finito.

Traduzione di Giovanni Giudici

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