27 giugno 2017

Svernare – Sylvia Plath

Court Green
Svernare – Sylvia Plath

Questa è la stagione rilassata, non c’è niente da fare.
Ho fatto girare lo smielatore della levatrice,
ho il mio miele,
sei vasetti,
sei occhi di gatto in cantina,

che svernano in un buio senza finestra
nel cuore della casa
accanto alla marmellata rancida dell’inquilino precedente
e alle bottiglie di vacui luccichii ——
il gin di Sir Tal-dei-Tali.

Questa è la stanza in cui non sono mai entrata.
Questa è la stanza in cui non ho mai potuto respirare.
Il nero vi è raggomitolato come un pipistrello,
nessuna luce
oltre alla pila
e al suo debole

giallo cinese su oggetti spaventosi ——
Nera imbecillità. Sfacelo.
Possessione.
Sono loro a possedermi.
Né crudeli né indifferenti,

solo ignoranti.
Questa è la stagione della resistenza per le api — le api
così lente che le riconosco a stento,
sfilano come soldati
fino alla lattina dello sciroppo,
risarcimento del miele che ho tolto loro.
Tirano avanti grazie a Tate e Lyle,
la neve raffinata.
Vivono di Tate e Lyle invece che di fiori.
Lo accettano. Arriva il freddo.

Ora si raccolgono in una palla,
nera
mente contro tutto quel bianco.
Il sorriso della neve è bianco.
Si allarga, corpo di porcellana Meissen lungo un miglio

nel quale, nelle giornate tiepide,
possono solamente portare i loro morti.
Le api sono tutte donne,
le vergini e la lunga signora regale.
Si sono sbarazzate degli uomini,

tangheri goffi e tozzi, nullità.
L’inverno è per le donne —–
la donna, che continua il suo lavoro a maglia
accanto alla culla di noce spagnolo,
il suo corpo un bulbo nel freddo e troppo istupidito per pensare.

Sopravviverà l’alveare, riusciranno i gladioli
a conservare in vita i loro fuochi
per entrare in un nuovo anno?
Che sapore avranno le rose di Natale?
Le api volano. Sentono il sapore della primavera.

traduzione di Anna Ravano

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