20 giugno 2017

Paralitico – Sylvia Plath

Christina's chair - Andrew Wyeth

Paralitico – Sylvia Plath

Succede. Continuera?----
La mia mente è una rupe,
non ho dita per aggrapparmi, né lingua,
il polmone d’acciaio è il mio dio

che mi vuole bene, pompa
e ripompa i miei
due sacchi di polvere,
non

mi consente ricadute
mentre fuori il giorno scorre come un nastro telegrafico.
La notte reca viole,
arazzi d’occhi,

luci,
smorzate anonime
voci: “Tutto bene?”
l’inamidato seno inaccessibile.

Morto uovo, io
giaccio intero
in un intero mondo che non posso toccare,
al bianco, teso

tamburo del mio giaciglio
fotografi vengono a trovarmi----
mia moglie, morta e piatta, in pellicce da anni ’20,
bocca piena di perle,

due ragazze
piatte come lei, che sussurrano: “Siamo tue figlie.”
Le immobili acque
mi avvolgono labbra,

occhi, naso e orecchi,
lucente
cellofan che non posso lacerare.
Sui miei nudi lombi

sorrido come un Buddha e ogni
voglia, desiderio
cadono da me come anelli
serranti le loro luci.

Gli artigli
della magnolia,
ebbri dei loro propri profumi,
nulla chiedono della vita.

Traduzione di Giovanni Giudici

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