28 giugno 2017

Dediche - Ambar Past

opera di Francine Van Hove

Dediche - Ambar Past

Dedico questa poesia agli uomini con cui non sono andata mai a letto
ai figli mai avuti
alle poesie che nessuno scrisse

Dedico questa poesia alle donne che non amarono i loro figli
a quelle morte negli alberghi
senza nessuno ad abbracciarle

La dedico all’autore degli slogans scritti sui muri con le bombolette spray]
all’uomo e alla donna
al torturato anonimo
quello che neppure il suo nome pronunciò mai

Dedico questa poesia a quelli che gridano di dolore
alle partorienti
a coloro che urlano spaventati nelle stazioni degli autobus
e sotto le volte dei mercati

La dedico ai suicidi
ai poeti
che vivono dimenticati in qualche antologia
a quello che lava i cadaveri
alle donne che vanno a letto con tutti
a quelli che dormono sempre soli
Dedico questa poesia alle madrine
e ai padrini
che fanno all’amore e sono trasformati in pietra
a coloro che si lavano con una bacinella di zucca
il venerdì santo e sono trasformati in pesce
all’uomo che volle essere un avvoltoio
e a quelli che sognano di poter volare

Dedico questa poesia al Signore della Notte stellata
al Pappagallo di Fuoco
al Pianto delle Mosche
alla Pioggia Verde
al Guardiano del Miele
alla Fratellanza dei Fratellini
alla Maschera che Piange
alla Rude Lumaca di Terra
allo Scivolo dei Quattro Angoli
agli Unificatori di Corteccia per il Vino Cerimoniale

La dedico a coloro che suonano il flauto e il tamburo
quando vanno alla fonte a lavare i panni
alla donna che sguazza nelle cascate
e si bagna i capelli con acqua di iris
a quella che allatta il suo piccolo tra le canne
a quelli che cercano l’arcobaleno nella oleosa pozzanghera
ai vogatori che inventano il canto con le braccia
a quelli che lavano la farina di granturco sotto la pioggia
alle donne che trasportano l’acqua nei secchi
e camminano lungo la strada

Alla ragazzina che vede le lucciole
alla ragazzina con la lanterna in mano
ai ragazzini che saltellano con una torcia di stoppie
a quelli che corrono nel fuoco
e sotterrano i loro morti in cucina
cantando fra le macerie
all’uomo che imbroglia la sua stessa morte
nel suo letto di morte
a quello che scende dalle montagne
per non bruciarsi con le stelle
a quello che afferra la mano della morte per ballarci insieme
alle donne che hanno molte nuore
che portano iguane sulla testa
alle ragazze dai capelli ricci che vendono neve ai tropici
ai pescatori di gamberi che avvistano la cometa dell’alba
a quello che si rimbocca le maniche e chiede un’ascia
a quella che vende gnocchi di patate, di mumu e chipilìn
a quelli che tagliano pannocchie tenere e le mangiano nei campi
a quelli che legano la zampa del cane che ruba polli
ai ragazzi – ragazze che uccidono per amore
a quelli che si gettano nella fossa dove si seppellisce un amico
al poeta che non può scendere dal tetto
perché è troppo innamorato
e a quello che fa quello che può

Dedico questa poesia a queli che non frequentano
i caffè o le piscine
né sanno parlare al telefono
a quelli che non entrano in banca
né vanno in televisione
a quelli delle scuole serali
che ricevono lettere d’amore con errori di ortografia
e ai poeti che non cominciarono mai a scrivere

ai camerieri che inghiottono la loro dignità
alle donne in età che lavano i panni altrui
alle donne che non osano dire ciò che pensano
né alzare la voce
o essere felici senza il permesso di un uomo
a quelli che si gettano a terra
e ingoiano la lingua tra la folla
a quelle che dormono con il grembiule addosso
e pensano alle cose da fare
mentre i mariti vengono troppo in fretta
a quelle donne che si svegliano nel buio sotto tetti di palma
e fanno tortillas nelle capanne
a quella donna che si bruciò i capelli
sporcandosi la camicetta di carbone
a quelle che essiccano zucche su tetti di lamiera
e non hanno sedie

Agli uomini che cantano ai loro figli per addormentarli in tsotsil
e hanno le unghie sporche
agli spazzini
a coloro che falciano i prati con un machete
che seminano fichi d’India e mangiano tortilla con sale
al metronotte che lavora anche di giorno
a quella con le pantofole rotte
che rifà cento letti ogni mattina
al vecchio sdentato che vende gomma americana sulla spiaggia
a quelli che viaggiano in piedi verso le piantagioni di cacao
a quelle con le facce nere arse dal fuoco
e le cicatrici del pianto nella loro sordità

Io dedico questa poesia all’uomo incatenato
ai bambini maltrattai
ai figli degli alcolizzati
alle donne che accudiscono i bambini degli altri
ma vedono i propri ogni quindici giorni
a quella che lava i pavimenti della scuola privata
e non sa scrivere il suo nome
alle donne che mangiano alla mensa dell’ospizio
a quelli che dormono attorno al forno di una panetteria
agli uomini che puliscono i bagni pubblici
e spazzano le strade all’alba
alle donne che ballano nei cabaret
e sono stufe

Questa poesia è dedicata all’impastatore di mattoni
morto costruendo la casa di qualcun altro
al poeta con la bocca sigillata per sempre al suo funerale
a coloro che fuggirono di notte
quando la lava seppellì la loro chiesa

ai vicini che tempo fa sotterrarono i loro figli
uno dopo l’altro come gli anni che passano
a quelli che hanno dovuto vendersi i figli
il sangue e il sesso
e a quelli che non hanno più niente da perdere

Dedico questa poesia ai contadini senzatetto
che occupano le terre del padrone
che scavano tunnel sotto le banche
che danno fuoco alla sgranatrice
che non lasciano ombra
e fanno saltare i ponti senza luna
ai tredicenni che vanno alla guerriglia
e conoscono la loro prima donna da fuorilegge

tra i vulcani

Per i due feriti
le ragazze pelate
per l’opossum di Olga

Ai cani bastardi battuti coi bastoni
a quelli nati in paesi
dove la verità è illegale
che hanno preso un altro nome
e da anni non vedono la loro famiglia
a coloro che non hanno mai dormito nello stesso letto
e una fossa comune condividono

Io dedico questa poesia alla madre che cerca suo figlio all’obitorio
fra altre poesie decapitate
che non sa dire quale il suo corpo sia
e dice a ognuno di loro addio con un abbraccio

Traduzione di Anna Lombardo

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