13 giugno 2017

Ode al cranio – Pablo Neruda

Andrew Wyeth - Untitled

Ode al cranio – Pablo Neruda

Non lo sentii
tranne
quando caddi,
quando persi
l’esistenza
e rotolò
fuori
dal mio essere come un osso
di frutta
schiacciata:
non seppi
ma sonno
e oscurità,
quindi
sangue e cammino,
improvvisa
luce
acuta:
i viaggiatori
che alzano la tua ombra.
Più tardi la tela del letto
bianco come la luna
e il sonno finalmente appiccicato
alla tua ferita
come un cotone nero.

Questa mattina
stesi un dito segreto,
scesi per le costole
al corpo
maltrattato
e unicamente
incontrai
fermo
come un casco
il mio povero
cranio.
Quanto
nella mia età, in viaggi, in amori,
mi guardai ogni pelo,
ogni ruga
della mia fronte,
senza vedere la grandezza
della testa,
la ossuta
torre del pensiero,
la zucca dura,
la volta di calcio
protettrice
come una cassa di orologio
che copre
col suo spessore di muro
minuscoli tesori,
vasi, circolazioni
incredibili,
battito di discernimento, vene del sonno,
gelatina dell’anima,
tutto
il piccolo oceano
che sei,
il pennacchio profondo
del cervello,
le circonvoluzioni raggrinzite
come una cordigliera sommersa
e in ciò
la volontà, il pesce del movimento,
la elettrica corolla
dello stimolo,
le alghe dei ricordo.

Mi toccai la testa,
scoprendola,
come nella geologia
di un monte
già senza foglie,
senza tremante melodia di uccelli,
si scopre
il duro
minerale,
l’ossatura
della terra,
e ferito ancora,
in questo
canto lodo
il cranio, il tuo,
il mio,
il cranio,
lo spessore
protettore,
la cassaforte, il casco
della vita,
la noce dell’esistenza.

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